Ciò che sto per scrivere è degno di uno dei miei diari del 2010. O del 2011.
Incredibile come certe cose si ripetano e non si impari mai abbastanza.
Ieri, per la prima volta, ho provato a dare un biscottino Plasmon a Santiago.
Ovviamente non gliel’ho lasciato in mano. L’ho spezzato in due e, tenendolo in mano, glielo facevo rosicchiare con i due dentini inferiori (ha solo quelli!). Quando se ne staccava una briciolina, aspettavo che la facesse macerare in bocca e che la deglutisse prima di offrirgli il morso successivo.
Così facendo ne ha mangiato metà. Evviva, abbiamo sdoganato anche il glutine.
Giunta la sera, preparo il pappone con la robiola e vado a prendere Leo a calcio chiedendo a mio marito di imboccare SG. Tornata, apprendo che il castorino si è sbaffato non solo il pappone ma anche una scatoletta di purea di frutta perché, a quanto pare, non era sazio.
Ciononostante, il bambino continua a strillare. Non piange, ma le urla ininterrotte rendono difficile la conversazione a tavola. Stiamo oltretutto parlando con Pietro a proposito della difficile scelta della scuola superiore, scelta che dovrà a breve affrontare.
Fabio mi chiede: “Ma non c’è qualcosa che gli si possa dare da ciucciare che almeno sta un po’ zitto?”
“Beh, oggi gli ho dato un biscottino…”
Si alza, prende il Plasmon e glielo ficca in mano.
“Ok, ma oggi non gliel’ho lasciato in mano!”
Il bambino però sembra ben gestire il suo premio. Lo ciuccia, lo sbatte sul seggiolone, lo riciuccia. Mi distraggo e vado avanti a spiegare a Pietro perché il latino sia importante nonostante gli possa sembrare desueto.
Ad un certo punto mi giro e vedo SG che mi fissa con gli occhi lucidi. Sembra voler deglutire, ma non esserne del tutto certo.
“Ecco” dico con un filo di ironia, convinta di sbagliarmi “mentre parliamo, il bambino si è ingozzato”
E un secondo dopo… blurp! Santiago vomita in due boccate tutto il cibo ingerito nelle ore precedenti, allagando tutto il seggiolone, se stesso, il pavimento. Poi comincia a piangere. Mentre cerco invano di sfilarlo dal seggiolone (quegli affari si trasformano in trappole infernali nei momenti meno opportuni) sento Fabio che dice: “Piange: aria ne passa, non succede nulla. Il meccanismo naturale di autodifesa gliel’ha fatto sputare fuori”.
Vero. Non è stato come quando Pietro si è strozzato con un panino alle noci (diventando rosso in faccia e facendomi pensare che non ci fosse nulla da fare prima che, miracolosamente, la manovra messa in atto glielo facesse uscire di bocca). Nemmeno come quando (Pietro, sempre lui) si è strozzato con le patatine mentre ero incinta di Leo in vacanza a Follonica, nell’unico frangente in cui ero rimasta a casa da sola con lui mentre mio marito era a comprare il gelato e la mia amica era andata a farsi la doccia.
In questo caso il biscotto si è semplicemente infilato nell’esofago. Una metà intera. Mezzo biscotto che, non essendo stato masticato, è stata vomitato integro come quando ingerito. E che mi fissa dal ripiano del seggiolone. Non sono una persona impressionabile. Ogni volta che c’è da reagire, reagisco mantenendo la calma. E’ necessario, considerato il mio lavoro. Ma quella metà intera che mi guarda, immaginata conficcata nell’esofago di mio figlio, è impressionante e non riesco a togliermela dalla testa.
Quello che però mi ha sconvolto è che lo sapevo. Lo avevo previsto. Immaginato. Messo in conto. E, nonostante ciò, ho lasciato che accadesse. E tutto perché non volevamo essere disturbati mentre parlavamo.
Preso il bambino, lo trasferisco in vasca da bagno, dove lo spoglio e lo lavo. Lo rivesto e lo porto a nanna. Ovviamente non dorme. Tossisce un po’ e gli esce anche un po’ di pappa dal naso (evidentemente qualcosa di traverso poi gli è andata lo stesso, probabilmente mentre piangeva). Dopo più di un’ora riesco a metterlo giù.
Non sono serena. Queste cose non devono più succedere.
E devo decidermi a partecipare ad un corso di disostruzione pediatrica. Nonostante io sia un medico. E proprio perché sono un medico.
Perché probabilmente la manovra fatta un decennio fa a Pietro è stata fortunatamente quella giusta, ma certe cose non vanno lasciate al caso. O alla fortuna.