In questi due mesi Santiago ha fatto molti progressi. È cresciuto in altezza, ma non solo. È un bambino volitivo, la sua parola preferita è il “no”. Il suo lessico si è però arricchito, se così si può dire.
“Uàua” sta per “acqua”, ma se pronunciata “vàvua”, ecco che diventa “motocicletta”, di cui ha una vera passione: ogni volta che passa un centauro comincia gridare: “Vàvua! Vàvua!” e a battersi la testa con la manina a indicare il casco. Non è noto il perché del termine: non ha alcuna assonanza con il significato che secondo lui rappresenta, ma tant’è.
“Tenna” sta invece per “tennis” di cui, volente o nolente, respira tutti i giorni un po’ d’aria. Che lo si guardi in tv, che vi assista dal vivo o che se ne parli, il tennis fa parte della sua vita. Adora giocare a “tenna” sul tappeto di casa. Il gioco consiste nel posizionare una pallina da tennis sul pavimento e colpirla con la racchetta da ping pong. Santiago vuole che l’altra persona, preventivamente posizionata da lui in un luogo ben preciso al capo opposto del soggiorno, risponda con la sua racchetta al colpo. Il gioco del “tenna”, che somiglia più che altro al minigolf, è una delle poche cose che lo intrattiene continuativamente per diversi minuti. Il ragazzo sembra mancino, ma talvolta colpisce la pallina con la mano priva di racchetta (solitamente la destra) o con il piede. Per cui non si può dire. Quel che è chiaro è che ha ben presente cosa sia questo “tenna”: quando chiama “Papà” e gli si dice che non è in casa fa lo sguardo accigliato, solleva un ditino e con tono eloquente sentenzia: “Tenna”.
Non è capace ancora di pronunciare “sì”. Quando vuole rispondere affermativamente emette una specie di suono nasale, spesso seguito da una risatina di piacere. La maggior parte delle sue risposte resta comunque un secco “no”.
Gli piace farsi pregare per dare un bacino. Capisce perfettamente che lo stai implorando e ci prova gusto.
Bacia con devozione tutte le immaginette della Madonna, quando ne vede una. Commossa da questo spiccato senso religioso, ho dovuto però ricredermi quando l’ho sorpreso a dare il bacino anche al pupazzo a molla di Marlon Brando nella sua interpretazione de “Il padrino”, acquistato qualche decennio fa in America durante il viaggio di nozze, al quale mio marito è molto affezionato.
Se tuttavia gli chiedo un bacino mi ignora o, come più spesso accade, risponde “no”, come da copione.
Da qualche tempo, ahime, gli concedo saltuariamente di prendere in mano il mio cellulare. Non pensavo ci fosse qualcosa di male: l’oggetto inizialmente veniva semplicemente tenuto nel palmo della mano e più che lo schermo, spento, ad attirare la sua attenzione era la cover dorata e glitterata del retro. Ad un certo punto ha ingegnosamente scoperto come entrare nel profilo delle sveglie, sezione suonerie. Da quel giorno, ogni volta che capitava prendesse in mano il telefono, le passava in rassegna tutte. Anche in questo caso, trattandosi di un passatempo musicale, ho lasciato che proseguisse. Ammetto che la cosa si rivelava utile soprattutto quando c’era bisogno di tenerlo impegnato qualche minuto (e soprattutto fermo): nel finire una conversazione con qualcuno, nell’impellente necessità di recarsi al bagno, nel riuscire a mangiare un boccone senza doverlo inseguire per tutta la casa.
Una mattina ho scoperto che, grazie alla babysitter, è venuto a conoscenza di Youtube. Entra in autonomia nella applicazione e sfoglia i suoi quattro o cinque video preferiti: il Trenino Bob, Lucilla etc. La cosa mi ha disturbato parecchio, perché mi ero ripromessa che non avrei lasciato giocare mio figlio col telefono. In effetti non si tratta di un vero e proprio gioco: guarda i video come probabilmente alla sua età i miei altri figli guardavano qualche volta BabyTV (che peraltro adesso non c’è più!). Il fatto è che la televisione non lo attira minimamente. Se qualche volta provo ad accendere un cartone animato (i Barbapapà, Santiago dei Mari o altro), ne è completamente disinteressato. Viceversa il video animato del telefonino carpisce la sua più totale attenzione.
Ma ho già dei campanelli d’allarme. In primo luogo, quasi mai lascia terminare un video prima di passare al successivo. Questo mi fa pensare che non riesca a mantenere l’attenzione per più di pochi secondi su una storia e spiega anche il perché non ami il cartone in TV: il bello del video su Youtube è che può decidere lui quando, come e cosa vedere. Ha imparato anche a cliccare sul tasto per saltare l’annuncio pubblicitario, a cambiare il video, a cercare i recenti da rivedere.
Ciò che in sostanza mi turba non è tanto l’uso del telefonino in sè (diciamo la verità, se all’epoca gli accendevi il cartone per andare in bagno, ora gli dai il telefonino e la sostanza non cambia!), ma la consapevolezza che questa generazione cresce abituata ad ottenere quel che vuole quando vuole. Spesso ai miei figli grandi spiego che ai nostri tempi per vedere un film dovevi aspettare che venisse passato in televisione oppure noleggiare una videocassetta. Che per registrare il video musicale del tuo cantante preferito ti toccava aspettare ore e ore su MTV, accovacciato sotto la console in attesa con il dito poggiato sul tasto REC del videoregistratore, sperando che prima o poi venisse annunciato. Che i nostri cartoni animati avevano una trama, che proseguiva puntata dopo puntata. Che non erano episodi a sé stanti di qualche minuto. E che dopo mesi e mesi di puntate di Lady Oscar poteva capitare, sul più bello, che decidessero di rimandare in onda le prime, senza che tu potessi mai sapere come sarebbe andata a finire.
Eravamo abituati ad avere pazienza, ad annoiarci, a desiderare.
Ecco, la mia paura è questa: che Santiago possa non sperimentare il piacere di desiderare qualcosa senza poterlo ottenere subito.
So che spetta a me il duro compito. Però… come è difficile fare il genitore!