Lo amo alla follia. Ciccione, le guance morbide, l‘occhietto un po’ strabico. Cresce a dismisura, mangia come un pozzo senza fondo. Ha imparato a chiamare per nome il cane, a modo suo ovviamente, ma riuscendo a farsi capire perfettamente. Quando usciamo vuole assolutamente tenere il guinzaglio, non importa se stiamo passeggiando o se lui si trovi sul passeggino: il cane lo deve portare lui. Gliene combina di tutti i colori, gli strappa i baffi e gli tira la coda e subito dopo si copre la testa con entrambe le mani, a proteggersi dall’eventuale reazione della povera bestia.
Ho istituito “l‘angolino della punizione” per questo genere di misfatti. Ricordavo che con Pietro, vista la totale inutilità degli scapaccioni, “l‘angolino della punizione” aveva sortito qualche risultato. Ce lo mettevo, la faccia a fissare il muro, e gli intimavo di non muoversi fino a che non l‘avessi deciso io. Non so bene perché, ma ricordo che Pietro, dopo qualche minuto di penitenza, veniva a chiedere scusa: sembrava capire che essere messo ne “l’angolino della punizione” significava averla combinata grossa.
Al momento invece pare che il provvedimento non sortisca alcun effetto su Santiago. Forse è troppo piccolo. Va nell’angolino, prova a voltarsi, poi sorride, si sposta per giocare con i lembi del rivestimento della poltrona che ha accanto, gioca con gli immancabili ricciolini di polvere che vi scova sotto. Solo una volta si è girato verso di me a braccia aperte come a chiedere perdono. E in ogni caso, due minuti dopo è tornato di nuovo alle prese con le orecchie del cane.
L‘altra parola che distintamente pronuncia è “babà”. Lo chiama quando lo cerca e quando lo vede entrare in casa. Stringe il cuore vedere come è contento quando lo vede rientrare dal lavoro. Se però papà gli chiede: “Chi sono io?” Santiago abbassa lo sguardo e sorride malizioso, in silenzio: la soddisfazione non gliela dà!
C‘è stato il carnevale e, tra le cose di seconda mano che mi hanno passato le amiche, ho trovato un costumino da Superman. Gliel‘ho messo su e gli andava a pennello. Siamo andati in centro con i ragazzi ed è stato bellissimo. Era una vita che non festeggiavamo il carnevale. I grandi me lo rinfacciano sempre, dato che non festeggiamo neppure Halloween. E tutti gli anni dico loro che è il carnevale la festa fatta apposta per mascherarsi, ma poi non lo facciamo: ogni anno penso che siano troppo grandi per avere ancora il piacere di farlo.
Evidentemente mi sbagliavo.
Leo ha indossato parte di un costume da Arciere (una specie di Robin Hood) che aveva acquistato Pietro l’anno scorso con l‘idea di uscire mascherato con gli amici (mai sfruttato). Non ne era molto entusiasta, a dirla tutta, ma si è divertito lo stesso. Pietro si è vestito da Michael Jackson, nella versione live di Smooth Criminal, costume arrivato con i regali di Natale. Fan sfegatato come la mamma alla sua età (ma giuro che da parte mia non c‘è stata alcuna opera di persuasione anche perché sono anni che non lo ascolto con assiduità), sfilava per il centro tutto compreso nel suo ruolo, ogni tanto si esibiva in un moonwalk per la gioia degli spettatori. E poi c‘era lui: SuperSantiago. Strizzato nel costumino attillato, la pancia prominente, il mantellino rosso, le scarpette che si illuminano, sembrava un vero supereroe. Correva (ovviamente) ovunque. Sovreccitato dai coriandoli, dalle stelle filanti, dalla gente e dai bambini tutti intorno. Era meraviglioso.
Ama la presenza dei bambini, come ne vede uno si ferma affascinato. In effetti non è abituato a frequentarne, se non teniamo conto dei suoi fratelli. A volte mi preoccupa un po’ la cosa: quando andrà alla scuola materna sarà in grado di interfacciarsi con i suoi coetanei? Perché, di fatto, gli unici esempi che ha a disposizione sono due ragazzi grandi che si azzuffano appena possono e anche lui, quando vuole giocare con loro, gli si butta sopra. Continuo a pregarli invano di non mettersi a fare la lotta davanti a lui, anche perché a volte mi rendo proprio conto che si spaventa, inizia ad urlare e va ad intervenire in soccorso di uno dei due. Insisto a ripetere che Santiago è piccolo, non può vedere certe scene, non capisce, ma spesso non vengo minimamente considerata.
Un paio di volte SG ha morso suo fratello mentre per l’appunto stavano avvinghiati a rotolarsi sul tappeto. Pietro da piccolo aveva avuto la fase del morso con i suoi compagni di asilo. Mordeva se gli toglievano un gioco, mordeva se non lo facevano salire sullo scivolo. Mordeva quando, a suo avviso, era stato vittima di una ingiustizia. SG ha morso per gioco e questa cosa mi ha fatto molto dispiacere. Così come ogni tanto, se non faccio subito quello che vuole lui, dargli un oggetto o alzarmi dal divano, si avvicina e mi dà degli schiaffetti sulle gambe. “Cosa hai fatto?!?” Lo sgrido subito e lui ci rimane male, ma non è ammissibile che nemmeno per un secondo pensi di poter fare una cosa del genere. Insomma, ha questo carattere molto ribelle e deciso, che spero di riuscire a modellare piano piano. Ma so già che sarà dura…
Per il resto… rimane un bimbo dolcissimo. La sera, verso le 20.00, gli metto il pigiamino e lo cambio mentre gli lascio a disposizione spazzolino e dentifricio, in modo che si possa distrarre lavandosi i denti sul fasciatoio. Siccome adora impossessarsi a tradimento della pomatina anale e, se appena mi distraggo, ne approfitta per spruzzarsene un ricciolo in bocca (cosa che mi fa rabbrividire anche ora mentre ne parlo), ho pensato che sarebbe stato meno grave con il dentifricio e quindi ho deciso di iniziare a insegnargli a lavarsi i denti (che oltretutto sono diventati tantissimi, persino i canini stanno spuntando!).
Terminate le abluzioni: “Ciao a tutti, andiamo a fare a nanna! “ diciamo mentre usciamo dal bagno e lui fa ciao-ciao con la manina. Qualche volta, se vede che gli altri stanno mangiando i biscotti sul divano (non ce la fanno proprio a resistere quei cinque minuti in più e ad aspettare che noi usciamo di scena!), prova ad emettere un urlo di disapprovazione (anche io voglio i biscotti!) ma, fingendo di non cogliere, lo conduco prontamente nella sua cameretta, come se nulla fosse (no, guarda, ti sembrava che masticassero qualcosa, ma hai visto male… e poi hai già lavato i dentini!).
Lo depongo nel lettino e abbasso la tapparella. Quando mi giro, ecco che si è messo a pancia in giù, tutto pigiato contro una delle spondine, credendo di non essere visto. E comincia il gioco: “Ma… dov‘è Santiago? Santiagooo, dove sei??? Eccoti!!!” e comincio a fargli il solletico sulla schiena, la formichina che risale dalle gambe fino al collo. E lui ride, ride, ride… Nel frattempo gli infilo il pigiamino pulito. “Manina destra! Manina sinistra! Qual è il piedino destro? Ecco il sinistro!” Ho sempre pensato che certe cose si imparano più facilmente se, invece di essere insegnate a pappagallo, vengono contestualizzate. Certo, non è facile a volte mettergli il tutino quando si dimena e cerca di nascondersi tra il materasso e la cerata, però fa parte del gioco.
Bacino all’orso musicale, bacino all’ippopotamo peluche e lo lascio dentro: “Vado a prendere il latte, non nasconderti!”. Gli preparo un biberon che praticamente è per tre quarti acqua e per un quarto latte (a cena mangia così tanto che ho sempre paura che possa esplodere, come un pesce rosso) e quando torno fingo di cercarlo nel lettino (cerca sempre di mimetizzarsi in un angolino) e poi glielo do. Ultimamente vuole che lo prenda in braccio mentre si attacca alla bottiglia. Me lo fa capire perché si alza in piedi e protende le braccia. Allora lo prendo su, come quando era piccolo (ma è davvero poi così grande?). Gli dico le cose dolci: che è il mio amore grande, il mio sole, la mia luna e le mie stelle, il mio tesoro, la mia monetina, il mio lapislazzulo, il mio rubino, il mio smeraldo, la mia ametista, il mio topazio, la mia acquamarina, il mio diamante e, in un elenco infinito, nomino tutto ciò che di più prezioso esiste al mondo.
Dopo pochi minuti lo rimetto giù, sveglio, gli rimbocco le coperte e mi sporgo per un ultimo bacio (ogni volta temo di rimanere lì, bloccata con la schiena, in bilico con la pancia infilzata dalla sponda alta, ma finora non è accaduto). Poi chiudo la porta e me ne vado.
Tornerò prima di andare a letto a mia volta, un paio di ore dopo, a cambiargli il pannolino e a rinnovare il biberon di acqua sporca. E, guardandolo, ringrazierò il Cielo per l’immensa fortuna che mi ha concesso.