16 maggio 2024

Questa cosa che Santiago vuole vedere le mucche e io non riesco a portarcelo deve finire.

Me lo continuo a ripetere, mentre spingo la bici su per la salita dei box, il bimbo sul seggiolino posteriore che continua ad esortarmi a salire in sella. E io che gli spiego che, se vogliamo arrivare in cima, devo spingere la bici a piedi.

La usava Fabio questa bici con il seggiolino posteriore, tanti anni fa, quando Pietro e Leo erano piccoli. Io stavo sulla mia Graziella con il seggiolino anteriore, sul manubrio. Non sono abituata ad avere tutto questo peso sulla ruota di dietro. Me ne accorgo non appena comincio a pedalare e Santiago si sbilancia a destra e a sinistra, indicando ora un camion rosso ora il treno. Ne ho la riprova quando, davanti al marciapiede sono costretta a fermarmi: appoggio un piede a terra e, con tutte le mie forze (ancora abituata ad avere il peso sul davanti) tento di sollevare la ruota anteriore per farle superare il gradino. Come quando sollevi il contenitore del latte vuoto, che però credi sia pieno e il braccio si muove fin sopra la testa per quanto avevi calibrato male le forze (e spesso il poco latte sul fondo va a schizzare il soffitto). Perdo il controllo della bici che per poco non si ribalta completamente. Spettacolo grottesco, immagino: una madre che impenna con il pargolo che quasi tocca a terra, tutto reclino su un fianco che grida: “Mamma! Mamma!”. Faccio uno sforzo sovrumano, in bilico sul piede sinistro, riesco a far tornare a terra la bici. Con un secondo tentativo, comunque non senza difficoltà, riesco finalmente a superare l’ostacolo. Vorrei spaccare con una pietra il finestrino del tizio che ha parcheggiato davanti alla discesina del marciapiede, obbligandomi a quella manovra, ma mi contengo, salgo nuovamente sui pedali e riparto. Sto sudando, la scarica di adrenalina che mi ha percorso mentre a pochi metri da casa stavo per far cadere rovinosamente mio figlio dalla bici mi ha surriscaldato.

“Mamma, freddo!” Dice lui

“Hai freddo???” Ma come è possibile, si muore di caldo!

“Sì”

Ecco, avevo pensato di prendere la giacca, in verità me l’ha portata lui prima di uscire e gli ho detto che era una bella giornata, piena di sole, e che non serviva. E adesso lui ha freddo.

“Ma no, che non hai freddo” Gli dico. E provo a prendergli le manine, che in reatà sono belle calde. In effetti lui non sta pedalando e quindi probabilmente l’aria gli fa sentire freddo. Ma in fondo si trova riparato dalla mia schiena, quindi che freddo potrà mai essere? Torniamo indietro? Giammai. Le mucche ci aspettano.

Per arrivare al parco c’è un pezzo di città da attraversare, con tanto di sottopasso per superare la ferrovia. Mi fermo alle strisce pedonali e mi raggiunge un tizio sulla sessantina, barbetta grigia, casco rosso, in bicicletta pure lui. Rallenta, mi guarda e, con fare noncurante ma pieno di saccenteria, mi supera borbottando: “Signora! Metta un caschetto a quel bambino!”

“Sì grazie, ha ragione” Rispondo. E lo penso davvero, che abbia ragione.

Ma, porca vacca, è proprio il caso di dire questa cosa proprio ora, che siamo appena scampati al marciapiede assassino e dobbiamo affrontare il sottopasso? Lo maledico e, dopo aver attraversato la strada spingendo la bici a mano, rimonto in sella e mi appropinquo al sottopasso.

“Mi raccomando tieniti, Santiago! Che qui si va veloci!” (E che la mamma non ti ha comprato il caschetto, che è illegale farti andare senza, che se cadi muori, che non me lo perdonerò mai, ecco lo sapevo sarebbe stato meglio non uscire, che le mucche possono aspettare e poi chi se ne frega delle mucche, moriremo qua, nel sottopasso, perché non ti ho comprato il caschetto perché ho sempre pensato che fosse da sfigato, no, in realtà perché ho sempre pensato che quei caschetti sono finti, non servono a niente, se uno cade a 35 Km/h in discesa nel sottopasso muore lo stesso, il casco integrale, quello sì che potrebbe servire, ma dimmi tu il caschetto di polistirolo con tutti quegli spicchi, quelle fessure e poi il mento libero di sbattere dove vuole, dimmi tu che cosa dovrebbe proteggere, anzi adesso torno indietro e raggiungo il caro signore con il suo caschetto rosso e la sua sicumera e gli dico guardi che se cade, caro signore prudente, si fa male lo stesso con quel caschetto da Barbie che indossa!).

Sono ancora preda del mio flusso di coscienza quando mi accorgo di aver superato il sottopasso da un bel pezzo, alla faccia del caschetto, del signore con la barbetta e di tutto il resto. Intravedo le mura del parco: manca così poco!

All’ultimo attraversamento pedonale questa volta mi si affianca una cara vecchietta, in bicicletta, rigorosamente senza caschetto, capelli argentati, foulard di seta svolazzante, pull over crema, profumo di acqua di rose. Lo vedi? Vedi che si può andare in giro sereni anche senza caschetto? Mi sento subito affine a questa rassicurante presenza. Emana gioia di vivere, gentilezza, amore per il creato.

A rovinare l’aulica impressione, ecco apparire un nuvolone scuro in lontananza.

“Speriamo che il tempo tenga!” Le faccio, cercando conforto

E come mi aspettavo, mi risponde col più rincuorante sorriso nel quale potessi sperare: “Ma sì, dai! Anche io sono uscita perché ho visto questo bel sole! Una pedalata in una giornata così va fatta! E poi, insomma, ci vuole un po’ di ottimismo, non crede?”

“Ha ragione!” Rispondo con il cuore pieno di affetto.

Ha proprio ragione. E attraversiamo insieme le strisce, varcando all’unisono le porte del parco. Ah, che bello! Mucche, arriviamo! La signora mi pedala a lato, per un attimo penso che voglia farsi il giretto con me. Non mi dispiacerebbe, mi sta proprio simpatica la vecchietta ottimista. C’è bisogno di persone ottimiste.

“Beh, allora io vado, arrivederci!” E con due spinte mi lascia indietro.

Come non detto. Va beh, ci sta: lei non ha quasi 20 Kg di bambino sulla ruota posteriore! Fa niente. Non ho fretta. Andiamo con il nostro ritmo.

“Senti gli uccellini, Santiago? E i grilli, dimmi, li senti?”

“Acqua!” Mi fa, di rimando, ignorando le mie domande

“No, l’acqua adesso non c’è. Dopo ci fermiamo, dalle mucche, a fare merenda e a prendere l’acqua!”. Non sta nemmeno pedalando e mi dice che ha sete! Ma come si permette!

“Freddo!” E ridaje. Ma fa apposta?

“No, dai, non fa freddo. E’ solo il vento, che senti, vero?!”

“Sì”

Speriamo che si tranquillizzi, adesso, e che si goda la gita (e che mi faccia sentire meno inadeguata: da brava madre degenere non ho portato né la giacca né l’acqua).

Continuo a pedalare, finisce il ghiaino e inizia lo sterrato. Attraverso la strada asfaltata e mi avventuro verso la fattoria. Ma sarà di qua? Sì, è di qua.

E poi la vedo ancora, la signora ottimista, è un puntino lontano, ma la vedo. Sembra fare la strada che facciamo noi o meglio, siamo noi che stiamo facendo il suo stesso giro. Magari anche lei sta andando alla fattoria. Magari le piacciono le mucche. Magari quando ci arrivo la trovo lì che sta facendo merenda e le dico: “Pensavi di averci seminato eh, vecchia furbetta? E invece, sorpresa! Anche noi siamo venuti a far merenda con le mucche!” Magari le farà piacere, che bello, anche voi qui, dirà. Magari aveva solo voglia di farsi i fatti suoi e la sua bella pedalata ottimistica da sola e quando ci vedrà alzerà gli occhi al cielo e sbufferà qualcosa tipo, ma mi avete pedinato? Chissà se anche io diventerò così, se arriverò alla sua età, se saprò ancora andare in bici, se mi piacerà far merenda guardando le mucche da sola.

Attraversiamo il ponticello che porta alla fattoria, la intravedo tra i rami degli alberi. Scorgo i recinti, le arnie delle api.

“Ci siamo, Santiago! Tra poco vediamo le mucche!”

Non faccio in tempo a finire la frase che un gocciolone di acqua mi cade sul viso. E poi un altro. E un altro ancora. Senza pensarci un attimo inverto il senso di marcia.

“Santiago, mi spiace, ma qua ci piove addosso! Dobbiamo tornare a casa!”

“Nooooooooooo!” Urla il bambino

“Per forza!”

Mannaggia alla vecchia ottimista! Qua sta per venire giù un turbinale! E io l’avevo detto! L’avevo detto che veniva a piovere, ma lei no, lei aveva detto di no, che bisognava essere ottimisti! Guardo il cielo plumbeo e gravido di acqua incombere sulle nostre teste (oltretutto prive di caschetto). Al parco è un fuggi fuggi generale. Per fortuna so che qui vicino c’è un varco che porta fuori dalle mura.

Probabilmente la strada più corta è un’altra, ma chissà perché imbocco la via sbagliata, quella che ricordavo portasse a casa più rapidamente, confondendomi però con quella dove abitavamo prima. Ma si sa, nella concitazione è difficile prendere la scelta giusta. Pedalo a più non posso. La gente si rifugia sotto i portoni delle case.

Sulla mia sinistra passa a tutta velocità un’altra vecchietta. Questa trasporta un bambino ben più grande di Santiago e che, per giunta, è accomodato sul seggiolino posteriore! Mi supera e mi sembra pure che mi lanci un sorriso sarcastico. Ma come fa? Ma queste vecchie dove diamine le trovano tutte le energie? Svolta subito dopo in un cortile e mi consolo, pensando che probabilmente ha solo fatto il pezzetto di strada che porta da scuola a casa. Facile fare la figa quando hai pedalato per cento metri! Io invece sto andando da un’ora quasi e la faccenda si sta facendo brutta davvero.

Metto il turbo e mentre sfreccio lungo questo nuovo sottopasso realizzo che probabilmente ho allungato il tragitto e non di poco. Pazienza. Accelero e mi accorgo che i pantaloni mi sono scivolati un po’ giù e, mentre dapprima Santiago si premura di sistemarmeli sulle terga, ad un certo punto decide, forse per farmela pagare, che è sicuramente più divertente abbassarli ancora di più. E quindi eccomi a pedalare sotto la tempesta, le chiappe di fuori, le saette sfavillanti e i tuoni roboanti tutto attorno. Imbocco il vialone che di lì a poco mi deve portare a casa. Bando al pudore, mi ritrovo a zigzagare tra le auto in coda sperando che il corpo del bambino nasconda le imbarazzanti nudità alla vista dei guidatori. Passiamo davanti alla gelateria e, improvvisamente, si leva l’urlo straziante di Santiago.

“Di là! Di làààààààààààààààààààààààààààààà!”

“Non possiamo fermarci a prendere il gelato! Ma non lo vedi che ci sta diluviando addosso?”

“Nooooooooooooooooooooo!”

Mi prende la maglia e me la solleva, arrabbiatissimo. Ci guardano tutti, chissà cosa pensano di questo spettacolo raccapricciante: il bambino senza caschetto, fradicio, che si copre mettendo la testa sotto la maglia della madre (ormai denudata dalle scapole in giù) e che intanto urla disperato perché ha paura dei tuoni. Macché. Io so la verità: vuole solo strapparmi i vestiti di dosso e mangiarsi un gelato sotto il temporale!

Arrivo al cancello del box con il fiatone, le gambe invece pare abbiano retto bene. Lascio la bici in cantina e salgo in casa. Varchiamo la porta e ci viene incontro Pietro.

“Vi siete bagnati?”

“Un pochino!” Faccio io

E guardo fuori dal balcone: il tempo di salire in ascensore e fuori si è scatenato l’inferno. Ci è andata ancora bene, dopotutto.

Cosa ci insegna questa storia, cari bambini:

  • Spesso i signori con la barba sono davvero saggi, anche se antipatici
  • Diffidate dalle persone ottimiste quando le evidenze sono chiaramente sfavorevoli
  • Non tentate mai di competere con gente più anziana di voi: è una battaglia persa
  • Le mucche sono degli esseri mitologici e pare che nessuno, in verità, le abbia mai viste

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