Il continuo viaggiare per lavoro di Fabio mi ha costretta a turni ospedalieri “scomodi”: chiedendo di non effettuare guardie nei giorni in cui mio marito era assente, mi è toccato prestare servizio su guardie di 12 ore consecutive molto ravvicinate tra loro. Per contro, è capitato più spesso di trascorrere ore e ore da sola con i ragazzi e, in particolare, con Santiago.
Confesso che questo suo non comunicare verbalmente mi stava mettendo un po’ alla prova. Il bambino capisce tutto, sa spiegare tutto a modo suo, ma non elabora frasi complete: mi sono resa conto che mi stavo abituando con una certa rassegnazione a questo stato di cose. Come se, da “brava” madre, accettassi questo terzo figlio così com’è, non capace di esprimersi correttamente con le parole, soffrendo però tacitamente per tutti quegli scambi mancati, i mancati ritorni, l’incapacità mia di comprendere effettivamente i suoi bisogni, i suoi desideri, le sue richieste. Come se questa condizione avesse dovuto protrarsi per sempre.
E poi, piano piano, ho cominciato a vedere minuscoli, ma progressivi, miglioramenti.
“Aspettami!” mi grida se io cammino avanti mentre lui mi segue con la bici senza pedali. “Banana!” dice indicando il personaggio di un cartone animato, che in verità è una salsiccia. “No, Santiago, è una salsiccia!” “Ah, sacciccia???” ripete. Impara in fretta ed è commovente il suo continuo entusiasmo, per le parole nuove come per le nuove esperienze. Questo “Ah!”, questa sua esclamazione stupita, alla quale riesce a conferire una espressività da consumato attore di teatro, è quanto di più tenero si possa immaginare.
Una mattina mi ha chiesto insistentemente di andare a vedere le mucche alla fattoria. Ma siccome il giorno prima, a passeggio nel parco, ad un certo punto ha smesso di camminare chiedendo di essere preso in braccio (cosa in questi giorni per me molto dolorosa per via del mio cronico mal di schiena), volevo evitare di trovarmi a due chilometri dalla meta con il pargolo sulle spalle, la bici in una mano e il guinzaglio del cane nell’altra. Così ho cercato sul navigatore una fattoria alternativa a quella che conoscevo e sono incappata in un agriturismo-centro ippico di cui in verità avevo già sentito parlare, raggiungibile in auto. Benché il cartello all’ingresso intimasse di non varcare la soglia se non si avesse prenotato un brunch o un pranzo o un’ora di equitazione, come una ladra ho parcheggiato in un angolo e, chiedendo a cane e bambino di fare silenzio, mi sono avventurata per la tenuta. Abbiamo visto i cavalli, i pony, gli asinelli. Abbiamo accarezzato le pecore e l’agnellino. Abbiamo osservato nella voliera il pavone, la gallina e il gallo, il tacchino e i pappagallini. C’erano anche i conigli. E Santiago continuava ad emettere il suo “Ah!” di ammirazione, a saltare da un recinto all’altro, non potendo credere ai propri occhi, stupito ed eccitato al tempo stesso, nonostante le mucche, quelle disgraziate, non ci fossero.
Siamo stati anche lungo il fiume, a lanciare sassolini e legnetti, a guardarli scorrere trasportati dalla corrente.
Nel bosco, a cercare i folletti e ad ascoltare gli uccellini e a imitare il verso del cuculo.
Al parco giochi a giocare con la palla e sullo scivolo.
A mangiare il gelato alla sagra di paese.
Non so come spiegarlo, ma ci proverò. Fino ad ora, avevo la percezione di non trascorrere tempo sufficiente con questo terzo figlio. E probabilmente era vero: mi assento più spesso da casa per lavoro e, talvolta, anche per altri impegni (fondamentalmente per un’ora di tennis, che però di solito mi concedo nel weekend quando dorme). Con gli altri due ero più presente, credo. O forse no. Di fatto, fino ad oggi, ho sempre temuto di dedicare troppo poco tempo a SG, di incrociarlo tra una giornata di lavoro e un’altra, chiedendo alla nonna o alla babysitter come fosse andata, se fosse stato bravo, se avesse fatto qualche progresso. Finalmente invece ora mi sembra di avere un rapporto più concreto con lui: anche le poche ore che trascorriamo insieme, magari alla sera, quando torno dopo le 19.00, sono piene di condivisione.
Ultimamente vuole starmi in braccio, magari mentre sono seduta per terra, tra i divani, giocando con le macchinine, la pista o i lego. Oppure stendiamo il foglio A3 sul tappeto e ci mettiamo a disegnare ciascuno qualcosa e poi a colorare. Spesso prende le letterine intagliate di legno, che ha imparato a memoria, e vuole che ne tracci il contorno sul foglio, per poi poterle leggere. A volte, a metà della cena, vuole spostarsi dalla sua sedia e salire sulle mie ginocchia, per finire il pasto. So che non dovrei concederglielo (ha finalmente imparato a stare seduto composto a tavola per la maggior parte del tempo), ma è così bello sentirlo addosso, lui che non sta mai fermo, la mia anguilla molesta, sempre a sgusciare via dagli abbracci e a scappare da un luogo all’altro!
Mi bacia tanto e volentieri. E’ diventato molto affettuoso anche con i suoi fratelli e più gentile con il cane. Chiede sempre scusa quando fa male a qualcuno, anche se involontariamente. Per contro, qualche volta fatica ad andare a letto, chiede compagnia, vuole essere preso in braccio mille volte, andare a dire: “Ciao Papà, Ciao Puppu, Ciao Ioia” un’ultima volta, con tanto di bacio annesso. E spesso crolla che sono le 21.30 passate.
Sta crescendo, non c’è che dire. E io mi godo ogni suo attimo.