18 marzo 2024

Il momento del bagnetto è sempre stato un fondamentale rituale di passaggio per i miei figli. 

Balle.

Il bagnetto non ha nulla a che vedere con la pulizia. Non ha niente a che spartire con l’approccio all’acquaticità. Non riguarda le fasi di crescita. 

Il bagnetto in realtà è un escamotage diabolico per liberarsi temporaneamente del bambino. 

Fin dalla più tenera età il bagnetto sortiva su Pietro e Leo un effetto simil sedativo. Li ficcavo nella vaschetta da piccini (Pietro poi, nato nel torrido maggio 2009, faceva un bagnetto al giorno), si rilassavano, poppavano, dormivano. Ah, bei tempi!

Con Santiago, come in quasi tutte le cose, il bagnetto sortiva risultati opposti. Spesso si animava di una vitalità fuori del comune, ancora superiore a quella solitamente manifestata. Deterso, unto di olio, tutto profumato, ecco che le sere dei giorni nei quali gli avevo somministrato il bagnetto diventavano le sere dei giorni nei quali il bambino non prendeva sonno, l’addormentamento risultava più complicato e la messa a letto tardava anche di un’ora intera.

Da qui il fatto che SG sia stato, dei tre, il bambino più sporco. Intendiamoci, a furia di cacche e pipì il grosso della superficie corporea veniva ripetutamente pulito innumerevoli volte al giorno, ma il cuoio capelluto e i piedini spesso sfuggivano alle lavande estemporanee e solo quando cominciavo ad avvertire quel buon aroma di formaggino o di cranio sudaticcio (i miei preferiti!) mi rassegnavo al fatto che fosse ormai giunta l’ora di un bagnetto completo.

Per fortuna però, i figli crescono e le dinamiche cambiano. Mi sono affrettata ad acquistare il seggiolino con le ventose da appiccicare al fondo della vasca non appena il pargolo ha acquisito la capacità di mantenere la posizione seduta e, da allora, il bagnetto è diventato anche per lui pratica frequente, non impattando poi per nulla sul successivo orario di addormentamento. Anche perché l’orario del bagnetto è variabile e Santiago ormai lo ama così tanto che, se non sto attenta, me lo ritrovo completamente nudo, nell’atto di scavalcare con la gamba il bordo della vasca alle otto di mattina. Capita anche a mezzogiorno di nominare tra una cosa e l’altra la parola “doccia” o “vasca” o “lavarsi”: ecco che, lesto come un salmone, guizza verso la stanza da bagno, le mani alla cintola già occupate nell’atto di slacciarsi i pantaloni. E spesso a nulla vale il tentativo di spiegargli che si stava parlando d’altro, che quella è l’ora della pappa e non del bagnetto e via dicendo. 

Il seggiolino per la vasca ha degli innegabili vantaggi, almeno fino a che l’infante non è in grado di sfilarsi dal suo interno. Da lì in poi diventa una trappola mortale: se inizialmente ti consente di sorvegliare il bimbo mentre magari svolgi attività diverse (ovviamente nello stesso ambiente), poi ti costringe invece a presenziare a bordo vasca ad ogni singolo movimento del pupo il quale, dotato di forza sorprendentemente sovrumana, riesce a sgusciare fuori dall’oggetto, a staccarlo dal fondo della vasca, a riempirlo di acqua dopo averlo messo sotto sopra e a svuotarlo sul pavimento del bagno. Ecco che il momento del bagnetto torna ad essere una tortura. “Non si fa, siediti, ti tiro fuori se non ti siedi, lo sai vero?” 

Alla fine il seggiolino per vasca sparisce misteriosamente e il bambino fa il bagnetto senza ausili. E come fare ad impedire che scivoli sul fondo bagnato o che si fracassi il cranio nel tentativo di uscire da solo dalla vasca o che, peggio, non si affoghi in quella spanna d’acqua?

Ecco che entrano in gioco i “fratelli maggiori”. Motivo per cui dicevo che il bagnetto non è una tappa di crescita, bensì un momento ludico senza età, almeno finché dura.

Fuori di me all’acme di un drammatico momento di sconforto, mi sento gridare: “Non è che qualcuno, per caso, vuol fare il bagnetto con Santiago?”. Inaspettatamente eccoli lì, i due marcantoni, i due grandi, offrirsi di sorvegliare il fratellino, sacrificarsi per aiutare la povera madre esausta, sbarazzarsi dei vestiti (ovviamente gettandoli a terra al fine di accaparrarsi per primi l’angolo migliore della vasca) e tuffarsi insieme al piccolo. Seguono urla, risa, strepiti. “Mamma, ci porti i giochi?” E Santiago: “Giiiiip!” chiedendo che gli porti la Jeep per farle percorrere guadi e percorsi anfibi. A parte qualche incidente (Pietro che, come sempre dispettoso nei confronti del fratello, stimola SG a schizzare acqua ghiacciata con la paperella addosso al povero Leo), la convivenza nel ristretto spazio sembra andare a gonfie vele. Volta dopo volta il momento del bagnetto con Santiago diventa una sana abitudine, che mi permette di disporre di un po’ di tempo per me. Dapprima esasperata dagli schizzi sparsi ovunque, ho successivamente deciso di ignorarli e di pensarci al termine della sessione, durante la quale mi dedico ad attività personali (chiamare mia madre, pulire la casa, leggere un libro). Ascoltano la musica, litigano per i brani da riprodurre, cantano e ballano, ridono a crepapelle.

Ad un certo punto mi chiamano: “Santiago vuole uscire!” E allora prendo l’accappatoio e vado a prelevarlo, lasciando i due finalmente liberi di godersi la vasca per qualche minuto ancora. Come abbiano fatto a starci dentro in tre rimane per me un mistero. Asciugo SG, lo depongo sul divano e lo rivesto. Al mio ritorno metto a fuoco la situazione: sembra in effetti che sia scoppiata una bomba. Scaccio i barbari dal bagno dopo aver loro intimato di sistemare tutto. Ovviamente poi sistemo di nuovo tutto io. Certo lo scotto lo si paga sempre. Ma quella mezzoretta libera resta un regalo impagabile.

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