Mi guardano e sorridono. Ma talvolta il sorriso è un po’ sbieco e imbarazzato.
“Che bel bambino!”
“Grazie!” rispondo sfuggendo lo sguardo compassionevole.
Santiago è intenibile e si fracassa dappertutto.
Ha imparato a salire da solo sulle seggiole, pericolosissime. Una volta, mentre ci provava, gli è scivolato il piedino e ha battuto il muso sulla seduta.
Appena si avvicina alla poltrona gli urlo “NO!” e lo vado a prendere.
Si arrampica sul divano, sale sulla spalliera. “NO!”. Ma non si rassegna.
Sale in piedi sulla scatola dei giochi e poi non sa più scendere.
Un giorno è entrato addirittura dentro al cassetto soprelevato delle pentole della cucina.
L’altra sera mi sono messa a pulire il mobile TV e mi sono resa conto che il vetro era segnato da impronte di manine che si trovavano ALL’INTERNO della porta scorrevole, dove io non riuscivo neppure ad arrivare infilando tutto il braccio. Quando ho chiesto come fosse possibile mi è stato risposto che Santiago era entrato e si era chiuso dietro l’antina.
Al parco giochi ha scoperto lo scivolo. Non ha le scalette per salire, solo una parete con degli appigli come quelli per arrampicare. Lo aiuto, ovviamente. Ma poi devo sorvegliarlo perché, fosse per lui, scenderebbe da lì, anziché farlo dallo scivolo. Quando finalmente riesco con difficoltà a metterlo seduto (lui in alto e io da sotto con l’epicondilite cronica a sbracciarmi perché non imbocchi la via d’uscita sbagliata), mi guarda sornione e, rapido come un’anguilla, si gira prono e scivola a pancia in giù fino a terra. Una volta ha provato a farlo a pancia in giù E a testa in giù, ma sono riuscita a fermarlo per tempo…
Sui giochi montati sulla molla, anziché sedersi a cavalcioni e dondolarsi avanti e indietro come fanno tutti i bambini, lui deve salire in piedi. Inizialmente pensavo non ne fosse capace, poi ho dovuto constatare che ci riesce eccome. Una volta in piedi stacca le mani e comincia a bascularsi come un surfista provetto. Motivo per cui ora gli impedisco di avvicinarsi da solo anche a quei giochi, apparentemente innocui.
L’altro giorno sono tornata a casa dal lavoro e appena entrata sono stata avvicinata dai nonni, costernati.
“E’ caduto dalla poltrona della sala!”
Sulla fronte, a destra, un bernoccolo enorme, veramente inquietante, viola.
“Gli era caduto il cuscino dietro la spalliera, il tempo di prenderlo e darglielo e lui si è messo a camminare, dimentico del fatto che si trovasse in piedi sulla poltrona”
Sminuisco con il nonno. Immagino lo spavento. Ha la testa dura, mi dico. Ma mi rendo conto che non lo si può lasciare solo nemmeno un minuto. Che dico, solo. Non gli si può lasciare la mano!
“Forza, usciamo a fare un giretto!” dico quando i nonni se ne sono andati. Nemmeno il tempo di finire la frase che Santiago, mettendo un piede su uno dei suoi libri di cartone lasciati a terra, scivola come su una buccia di banana e cade in avanti. Labbro rotto, orrendamente. Sangue a iosa. Temevo si fosse avulso qualche dentino, ma era “solo” il labbro squarciato. Lo abbraccio, mettiamo il ghiaccio (che odia). Quando si tranquillizza usciamo veramente.
Al rientro dalla passeggiata, mentre saliamo in ascensore, mano nella mano con Leo che ci aveva accompagnati, improvvisamente si lascia andare a peso morto e a Leo sfugge la presa. Altra caduta di faccia sul pavimento (imbottito dallo zerbino ispido) dell’ascensore.
Insomma.
“Che bel bambino!” mi dicono.
Io lo guardo: una protuberanza sopra l’occhio destro. Il labbro inferiore violaceo e tumefatto. La guancia sinistra rosso fuoco.
“Grazie!” rispondo. E penso: “Si immagini senza tutti quei gibolli!”
Ma me ne sto zitta e spero che la giornata finisca presto.