Il tempo per scrivere è davvero poco.
Il lavoro mi ha risucchiato, cosa che speravo invece non accadesse. Il periodo delle feste obbliga a turni ravvicinati, soprattutto per chi, come me, ha preferito stare a casa qualche giorno prima di Natale, anziché da Natale in poi.
Questo ha implicato una bellissima giornata sugli sci con i miei due figli grandi, ma anche parecchie guardie di dodici ore e tante notti fino alla fine del cosiddetto “periodo caldo”.
Erano tre anni che non mettevamo gli sci ai piedi. E non era da tanto che avevamo iniziato a metterli.
Scio da quando sono piccola, ma ad un certo punto ho smesso. Ho un vago ricordo di un weekend sulla neve con qualche compagno di università e anche quella volta fu un exploit dopo anni di pausa.
Quando i ragazzi sono diventati un po’ più grandi però ho sentito il bisogno di trasmettere loro quello che avevo a mia volta ricevuto. Ho deciso che li avrei portati a imparare a sciare. E così, nel 2017 abbiamo inaugurato la “settimana con gli sci e i nonni”, tappa fissa anche negli anni successivi. Fino al 2020, quando il mondo si è fermato e, di conseguenza, anche noi. I ragazzi in quei tre anni avevano però dimostrato di saperci fare. E quest’anno, ormai non più gravida, ho deciso di tornare a far mettere loro gli sci ai piedi, prima che si dimenticassero come si fa.
Niente settimane bianche, solo un giorno a disposizione. Niente nonni. Niente SG, rimasto a casa col papà. Solo Pietro, Leo ed io.
E’ stata una bella avventura, per la prima volta da soli, peraltro in un luogo dove non ero mai stata neppure con mio padre. E’ filato tutto liscio, compresa la salita fino alla funivia con la Panda in prestito senza gomme da neve (per fortuna di neve in strada non ce n’era). Il noleggio sci è stato efficiente. E, dopo un primo momento di assestamento, anche le discese non hanno creato problemi. A parte una delle prime quando, sorpresa da un muro di ghiaccio e dimentica di essere l’apripista dei miei figli, ho pensato di far correre gli sci piuttosto che tentare di curvare e rallentare. Quando la pista si è appianata, mi sono voltata a guardare sperando che i danni non fossero stati troppi. E invece ancora stavano rotolando verso valle, uno sdraiato sulla schiena senza una bacchetta, l’altro sulla pancia, senza uno sci. Non vi dico risalire a scaletta (nessuno che si sia fermato mentre scendeva, nemmeno quando passava a mezzo metro da loro).
Da quel momento, una volta imparati i diversi itinerari, ho preferito stare in coda. Al termine della giornata i ragazzi erano diventati tecnicamente autonomi. Ci dividevamo scegliendo ciascuno la tratta di pista preferita, rossa o nera, e poi ci ritrovavamo alla seggiovia in basso.
Abbiamo mangiato i pizzoccheri al rifugio e, prima di scendere per l’ultima volta, abbiamo preso una cioccolata calda. E’ stato tutto perfetto.
Tranne una piccola parentesi durata un’oretta, durante la quale Pietro si è accorto di avere perso il telefono (che gli avevo detto di non portare). Miracolosamente, al novantunesimo squillo, l’omino della seggiovia ha risposto dicendo che ce l’aveva lui e siamo andati a riprenderlo.
Ci sono stati dei momenti in cui avevo il petto pieno di gioia. Li guardavo, uno alla mia destra e uno alla mia sinistra, sulla seggiovia. Il tramonto davanti a noi che si perdeva nella nebbia della valle, le cime imbiancate tutto intorno. E pensavo, mio Dio come sono felice! Dovremmo farlo più spesso. Stare insieme. Fare qualcosa di bello insieme. Qualche gita, qualche avventura. Ci vuole così poco!