Il rientro al lavoro, lì per lì, non è stato apparentemente traumatico. Coordinata babysitter con suocera, sono uscita di casa alle 7.30. Babysitter fino alle 13.30. Suocera dalle 13.30 in poi (i ragazzi tornano da scuola alle 14.00 e pranzano a casa).
Al lavoro ho trovato tutto com’era. O quasi. Qualcuno se n’è andato. Qualcuno è arrivato. Solite facce non troppo contente. Soliti sguardi esausti e insoddisfatti. Sono rientrata con il preciso obiettivo di non farmi risucchiare come prima nella vita ospedaliera, ma non so quanto resisterò. In questo primo mese, fino a che SG non compirà un anno, sono esentata da turni di 12 ore (che poi in verità non sono mai inferiori alle 13 ore) e dalle notti. Avrei da lavorare cinque ore e mezza al giorno, ma di fatto, raramente riesco a venire via prima che siano passate otto ore.
Uscita di casa, quella mattina, la sensazione era di essere nuda. Niente passeggino, niente borsone rosso del bambino. Niente cane. Com’è possibile? Solo la mia borsetta e le chiavi della macchina. “Devo aver sicuramente dimenticato qualcosa” mi ripetevo. Invece no. In auto, uno strano silenzio. Niente litigi dei più grandi, niente urla del più piccolo. Niente cane nella posizione di vedetta tra i due sedili anteriori. Il traffico, uguale. Solita coda nei soliti posti. Il mio arrivo in ospedale festeggiato dai più, tranne che da me. Sì, è vero, mi mancava il poter guidare ascoltando la radio. O pregando. O chiacchierando con le amiche al telefono. Mi mancava poter andare in bagno senza avere presenze inquietanti che mi fissano a mezzo metro di distanza. Mi mancava poter andare in mensa a pranzare con una amica, ridere e parlare del più e del meno, dare una rapida occhiata alle vetrine dei negozi della galleria mentre torniamo in reparto. Bere un caffè al bar.
Però.
Però a casa non mi stavo annoiando. Le mie mattine erano piene, i pomeriggi di più ancora. E il legame con Santiago è diventato molto forte. Stare a casa con lui undici mesi è stato diverso che con gli altri figli, occasioni nelle quali sono tornata al lavoro molto prima (rispettivamente dopo quattro e sei mesi).
Tra un paziente e l’altro, alla mia scrivania, guardo le foto che mi manda la babysitter e mi accorgo che mi manca. Mamma mia, quanto mi manca. Torno a casa e lo vedo gattonare a tutta velocità in mia direzione, ridendo e ansimando. Lo sollevo tra le braccia e lo annuso nell’incavo del collo. Gli canto la canzone: “Chi c’è? Chi c’è? Santiago Gabriél”.
Dopo i primi due giorni di ripresa lavorativa, SG ha ricominciato a svegliarsi di notte. Non bastava più il biberon nel lettino. Dovevo prenderlo in braccio e cullarlo per mezzore intere. Una notte mi ha quasi spaventato: le urla erano acutissime e a nulla è valso il mio abbraccio. Mi scacciava con gli occhi serrati, come rapito da un incubo senza fine. Ho dovuto portarlo in bagno, accendergli la luce in faccia, farlo svegliare del tutto. Solo allora mi ha riconosciuto e si è avvinghiato con le braccia al mio collo. Sono quindi riuscita a cullarlo in posizione orizzontale, ma il piccolo non smetteva di fissarmi con gli occhi aperti e nessuna intenzione di volerli richiudere quasi a dire: “Ti tengo d’occhio. Non mi addormento, così tu non mi lasci”.
Sono rientrata di giovedì e quindi il primo weekend è stato salvifico: SG mi ha riavuto per sé per due giorni interi e dal lunedì seguente ha ripreso ha dormire di notte, eccezion fatta per i soliti risvegli (con o senza urla) a risoluzione spontanea (quando trova i biberon e vi si attacca in autonomia).
Per quanto riguarda il resto…
Siamo stati a fare l’ennesima dose di vaccini (Difterite, Tetano, Pertosse, Epatite B, Haemophilus, Pneumococco) e anche questa volta è andato tutto bene. A novembre avremo Morbillo-Parotite-Rosolia, Varicella e Meningococco C. Poi spero in un po’ di requie.
Goguito è meraviglioso. Ha iniziato a muovere qualche passettino senza ausilio, anche se tutte le volte sembra precario come una costruzione fatta con le carte da gioco (tanto che non sai se metterti davanti o dietro perché nemmeno si capisce da che parte cadrà!).
Mentre prima se si cantava “batti batti le manine” tendeva a prendere le tue, di manine, e a farle battere tra loro, adesso ha imparato a farlo con le sue.
Ha imparato (purtroppo) anche a scavalcare quella sorta di recinto che allestivamo all’angolo del divano: si appoggia a pancia in giù sul pouf, alza la gamba fino a che non trova un puntello con il divano e si tira su, per poi calarsi dall’altro lato. Capocciate a bizzeffe. Ormai non lo si può lasciare solo nemmeno un minuto.
Ho montato una tenda igloo (che fu di Pietro) davanti alla libreria con la nostra collezione di CD, in modo che la smetta di andare là a svuotare di musica tutti gli scaffali. Spesso però riesce ugualmente ad infilarsi tra la libreria e la tenda e a fare razzia come se non ci fosse nulla di più appagante.
A parte il cibo, ovviamente. Mangia di tutto. Mangia la sua pappa. E poi deve assaggiare la nostra. Ama provare ad intingere il proprio cucchiaino nella pappa per imboccarsi da solo. Adora mangiare mele intere. Mentre grattugiate gli provocano il vomito, le mele intere sono il nostro nuovo sedativo. Con la buccia ben lavata, somministriamo il frutto al bambino sul seggiolone e, finalmente, otteniamo il suo silenziamento per quei quindici minuti nei quali ceniamo a nostra volta.
Infine: siamo passati al latte vaccino, al momento ancora diluito. Sembra digerirlo molto bene, ne beve a iosa durante la notte e al mattino a colazione, tanto che dobbiamo sempre ricordarci di rimpinguare le scorte in frigo. E finalmente, anche il mutuo per l’artificiale è stato chiuso.