Settimana scorsa siamo stati al corso di acquaticità regalato dagli zii per la nascita di SG.
Non l’ho mai fatto con gli altri figli, ero curiosa di provare.
Arrivata in piscina, mi sequestrano le ruote della carrozzina per evitare di portarle in piscina. Trasporto negli spogliatoi Santiago, dormiente nel suo ovetto. Ho avuto la lungimirante idea di indossare il mio costume sotto i vestiti (l’unico intero che ho, di dieci anni fa, ma che ancora mi sta!), pertanto devo solo spogliarmi e depositare pantaloni e felpa in un armadietto. Guardandomi in giro individuo un paio di mamme con pargolo che paiono veterane del luogo. A mia domanda rispondono che il bambino va cambiato dentro e quindi ci avviamo alle vasche. Arrivati alla piscina piccola, seguendo l’esempio delle altre, mi approprio di un fasciatoio sul quale comincio a disporre costumino, cuffietta e asciugamano. Mentre Bruno Mars a tutto volume si vanta del suo successo con le ragazze, Santiago non dà segni di vita: dorme come un sasso. Alla fine, suo malgrado, lo prelevo e lo spoglio dolcemente. Piano piano si sveglia.
Si avvicina l’istruttrice: “Prima volta?”
“Immagino io ce l’abbia scritto in faccia…”
“No, dai, è che questo bimbo non ricordo di averlo visto prima! Come si chiama?”
“Santiago Gabriele”
“Ah, quindi ciao, Gabriele! Gabriele, giusto?”
“Ehm, no, chiamalo pure Santiago!”
“Ah, scusa, non avevo capito: Gabriele è il cognome! Povero, chissà quante volte nel corso della sua vita si sbaglieranno e lo chiameranno per cognome!”
Non commento, sentendomi come sempre a disagio quando mi accorgo che, invece di aver risposto solo con un nome, ho risposto con entrambi, creando un equivoco ogni volta diverso dal precedente. Ma cosa ci devo fare: è più forte di me. Pensavo di passare per snob, invece passo solo per una che si è sposata con un tale Sig. Gabriele. Pace.
Su sua indicazione mi siedo a bordo vasca con SG tra le cosce, seduto anch’egli con i piedini dentro l’acqua. Pronti via, svomitazzata di latte cagliato dentro la piscina: evviva i buoni inizi.
“Ah, ecco, scusa, spostalo, mettilo sulla grata, che facciamo andare giù il rigurgito, se no puzza!”
Superato questo piccolo incidente di percorso entriamo in acqua. Mi mostra come tenere il bimbo sotto le ascelle: “L’importante è che in nessun modo tu tenga ferme le gambe, che devono essere libere di muoversi. Per cui, se puoi, evita la mano sotto il sederino”
Perfetto. E che sarà mai. Santiago, dal canto suo, si guarda in giro, ancora evidentemente rintronato dall’umido risveglio, non francamente contrariato, ma nemmeno particolarmente divertito. Entrano altre mamme.
“Ciao, che bel bambino! Come si chiama?”
Ahia. Ci risiamo. Ok, questa volta sto sul generico.
“Santiago” e però così mi sembra incompleto. E mi dico, adesso mi chiederanno se l’ho chiamato così perché sono fan di Belen. Non lo fate, non lo fate, non lo fate.
Decido di prenderle in contropiede: “E lei come si chiama?”
“Lei si chiama Cristal!”
Ah, ok. Per un istante vedo Cristal il Cigno mentre grida: “Aurora del Nord!”. E mi consolo pensando che alla fine Santiago non sia un nome così particolare.
“E quest’altro bimbo come si chiama?”
“Lui è Justin”
Ah, ok. Per un istante sto per chiedere se si chiami come Justin Bieber o come Justin Timberlake, ma mi trattengo.
Penso che, così come loro hanno risparmiato me, anche io devo risparmiare loro. Viva la solidarietà femminile.
E no, alla fine Santiago non è proprio un nome particolare.
La lezione inizia e, in cerchio, sostenendo il bambino sotto le ascelle, iniziamo il girotondo accompagnate da canzoncine senza tempo. Giro girotondo, la bella lavanderina, il ballo del qua qua. Che bello. Santiago sorride, è contento. Io lo fisso costantemente per evitare che per sbaglio mi vada sotto con la bocca. L’istruttrice ci schizza con l’acqua. E io giro, giro, giro. E comincia a girarmi la testa. La piscina diventa una macchia turchese indistinta che fa da sfondo al viso di mio figlio. E io giro, giro, giro. Per fortuna iniziano le varianti: passaggio sotto un tunnel di polistirolo durante la canzone del trenino. Passaggio sullo scivolo dal quale far scendere il bimbo. Finalmente una pausa. Comincio a capire che tenere il bimbo costantemente sostenuto sotto le ascelle, per quanto in acqua, non è proprio un gioco da ragazzi. L’istruttrice spiega che adesso proviamo a fare un’immersione verticale. Viso dei bimbi contro il nostro petto, meglio se con il ciuccio in bocca, così non bevono. Giù e su per meno di un secondo. E io, che pensavo alla copertina di Nevermind quando mi hanno regalato il corso, ho dovuto constatare che in realtà il bimbo immerso non è che nuoti da solo a mezz’acqua. E non è nemmeno proprio a suo agio. I bimbi hanno reagito in maniera diversa: qualcuno una volta riemerso ha pianto. Qualcuno è rimasto attonito a fissare la propria madre come a dire: “Ma cosa ti ho fatto di male per meritarmi questo!?”. A noi non l’ha fatto fare, essendo la prima volta. Quando toccherà a noi vedremo come reagirà Santiago.
A questo punto ci viene proposto l’utilizzo di un galleggiante da legare in vita al bambino, per scaricare un pochino il peso. Evviva. Così va molto meglio. Continuiamo ciascuno per conto proprio a giocare in piscina con i nostri figli. Qualcuno piange. Qualcuno si addormenta. Dopo di che, mi forniscono un piccolo materassino di polistirolo sul quale adagiare il bimbo. Gli tolgo il galleggiante e lo sdraio a pancia in su. L’istruttrice mi ricorda di bagnarlo frequentemente, altrimenti prende freddo. Mentre lo innaffio a ripetizione mi pare un capodoglio spiaggiato. Lui se la gode, sembra in vacanza alle Maldive. Dopo poco l’istruttrice mi chiede di provare a metterlo a pancia in giù. Certo, perché no? Nemmeno un secondo dopo il capodoglio si esibisce nella sua prima rotazione, di quelle che ti dicono che i bambini imparano a fare nel quarto mese di vita, di quelle che devi stare attenta, che altrimenti cadono dal letto. O dalle zattere galleggianti. E così l’immersione Santiago l’ha fatta lo stesso, a suo modo. Ripescato al volo, forse non se ne è nemmeno accorto, a parte un paio di colpi di tosse. Però siamo scesi dal materassino e abbiamo proseguito senza strumenti.
Si avvicina lo scadere dell’ora. Mano a mano che le mamme escono, l’istruttrice mi spiega che, mentre mi terrà il bambino, dovrò uscire a riempire la vasca del fasciatoio con l’acqua calda, preparare il bagnetto e tornare a prendere il pargolo, in modo da lavarlo e poi cambiarlo a bordo vasca. Decido di aspettare per ultima. Mi viene anche una piccola ansia da prestazione: Santiago nella vaschetta del fasciatoio di casa non lo lavo praticamente più. E’ scomoda per chi, come me, sostiene il bambino con il braccio sinistro. E’ stata brevettata per destrimani e il fatto che io sia ambidestra complica le cose. In più a casa schizza ovunque e quindi ormai opto per il “bagno-quasi-intero” nel lavandino quando lo cambio o nel “bagno completo” direttamente in vasca. E se poi mi scivola o si mette a scalciare come al solito? E se mi scappa il tubo dello scarico e allago la piscina? Una volta col primo figlio ho allagato casa perché non mi sono accorta che mi era scivolato il tubo a terra. Per fortuna ricordo che siamo per l’appunto in piscina e noto anche che le vaschette addirittura le rovesciano a terra quando va sostituita l’acqua. Tranquilla, non puoi allagare una piscina. Arriva il mio turno ed esco dalla vasca. Mi rendo conto solo allora di essere stata ammollo in acqua tiepida per un’ora, mi sembra di pesare una tonnellata. Una assistente mi ha già preparato la vasca, solo per oggi, per aiutare. Mi prestano il bagnoschiuma (non sapevo del bagnetto dopo il corso e non l’ho portato!), mi faccio passare SG e lo puccio nella vaschetta. Lo insapono rapidamente e lo sciacquo col doccino. Lo depongo sul fasciatoio, lo asciugo, gli metto il pannolino, il bodino, il tutino. Lo appoggio nell’ovetto. Raccolgo le cose bagnate, le infilo in un sacchetto di plastica che mi ero portata. Indosso l’accappatoio. Inforco lo zaino in spalla e mi accingo ad uscire. Solo allora mi rendo conto che, ultima ad uscire dalla vasca, sono la prima ad essere pronta ad andare negli spogliatoi: una mamma sta ancora insaponando per la terza volta il bambino, un’altra gli sta mettendo il pannolino, un’altra lo massaggia con l’olio, un’altra ancora sta rivestendo la figlia con calzamaglia, gonna, scarpine, camicetta, maglioncino… Mi rendo conto che forse sono tutte al primo figlio. Saluto ed esco dalla piscina. In spogliatoio appoggio l’ovetto a terra: SG dorme già della grossa. Faccio la pipì, poi mi porto l’ovetto nella cabina e mi cambio. La doccia io la farò a casa.
Nel complesso l’esperienza mi è piaciuta. Nel pomeriggio mi è venuta addosso una stanchezza come se avessi fatto cento vasche anziché aver saltellato in una pozza tiepida. Probabilmente non ero più abituata alla piscina. Anche Santiago ne è uscito abbastanza stremato: ha dormito molto fino a sera e anche di notte (ma con i soliti risvegli per mangiare ogni tre ore). Unica nota negativa: forse avrei dovuto godermela di più: l’iperefficientismo da terzo figlio mi ha fatto fare le cose molto rapidamente. Guardando le altre mamme ho visto proprio come si godevano tutta la parte del bagnetto e del cambio. Sarò mica diventata una madre imbruttita?
racconto esilarante! bellissimo