15 novembre 2021

Siamo tornati a casa ieri, a sorpresa.

Dopo il parto ho scoperto che quella notte c’è stato parecchio movimento. A parte aver perso la gara con tutte le partorienti (ho finito per ultima), abbiamo dovuto aspettare su una barella nella cameretta dove avevo cenato la sera prima, insieme ad un’altra donna, in attesa che si liberassero i letti in reparto. Alla fine la camera in solvenza era libera e in quel momento mi sono detta che, mannaggia, me la meritavo eccome. Mi hanno portato qualcosa da mangiare sulla barella e poi mi hanno portato in reparto. 

Santiago Gabriele, così registrato senza troppi ripensamenti da mio marito poco dopo la nascita (e tanto lo sapevo che sarei stata così devastata che non mi sarebbe più venuto in mente di discutere alcunché, figuriamoci di ripensare nuovamente al nome del bambino), è nato alle 7.16 del 12 novembre. Lungo 52 cm, pesava 4120 g. Circonferenza cranica pari a 36 lunghissimi centimetri. Pelatino come i suoi due fratelli, ha gli occhi a mandorla di Fabio, uguali a quelli di Pietro quando è nato. Il naso però è a patatina e ha le guance cicciose come quelle di Leo. Come se dalla fronte fino al naso fosse Pietro e dal naso in giù Leo. Le orecchie sono piccole e compatte, mentre Leonardo le aveva grosse e carnose. Ha le sopracciglia ben definite, ma non è particolarmente peloso. Il labbro superiore è sporgente e sembra un cuoricino, sottile. Il mento è sfuggente, il labbro inferiore ancora più sottile. Ma sotto il mento ha una pappagorgia infinita fatta di fossette e ciccetta deliziose.

Completamente disorientata nel tempo e nello spazio (non capivo se fosse mattina o pomeriggio, avevo solo molta, moltissima fame e non ero certa se mi toccasse un’altra colazione oppure una cena, ma forse si trattava di un pranzo), ho ricevuto diverse visite di colleghi, tutti a complimentarsi, tutti commossi. 

Lentamente ho cominiciato a realizzare cosa fosse successo. Mi sentivo svuotata. Se provavo ad alzarmi in piedi barcollavo, mi girava la testa. Respiravo affannosamente. Miracolosamente, grazie ad Alessia, non ho subito nessuna episiotomia e ho solo avuto qualche abrasione, ma nessuna franca lacerazione. 

Il dolore più forte quando mi muovevo nel letto era a livello della schiena, dove mi avevano lasciato il catetere epidurale, chissà perché. Non è nemmeno servito, perché me lo lasciate? Il mattnio dopo ho anche ricevuto la visita di due anestesisti che hanno ipotizzato la presenza di “sinechie postinfiammatorie” formatesi a seguito dei miei mal di schiena ricorrenti, le quali avrebbero impedito all’ago di entrare nel canale spinale. Potrei fare un esame, la peridurografia, per capire esattamente come sia conformato il mio canale spinale, qualora dovessi subire in futuro una anestesia epidurale, ma ovviamente al momento mi sembra una opzione lontana anni luce. L’unica cosa che invece mi è sembrata onesta è stata l’affermazione finale: “Non so dirti cosa sia successo, in effetti. Credo semplicemente che il dato più importante per definire le cause del problema è che tu sia una collega”. Questo perché, per chi è del mestiere, si sa che le circostanze più sfortunate o le complicanze più inspiegabili si verificano sempre nei colleghi. E lo penso tuttora. 

Ho trascorso in ospedale solo due notti, che, come ricordavo, sono state particolarmente intense. In attesa della montata lattea ho tenuto il bimbo praticamente sempre attaccato. Mi ha massacrato i capezzoli, ovviamente. Cercavo di ricordare tutte le regole corrette per farlo attaccare correttamente, ma, di fatto, non riuscivo a fargli aprire bene la bocca e, complice il mento sfuggente e il labbro inferiore poco pronunciato, ogni volta che iniziava la suzione, avvertivo dolori lancinanti. Ed in effetti poi i capezzoli si sono fissurati e oggi si sono formate anche delle vere e proprie croste. Al momento della dimissione ho avuto la possibilità di parlare con un’ostetrica, che mi ha dato diversi consigli. Vea Bua Spray sui capezzoli, in caso di ingorgo massaggio e spremitura, in caso di infiammazione foglie di verza o ricotta (foglie di verza o ricotta???) da lasciare sul seno in due strati separati da una pezzuola di lino. Ha cercato di spiegarmi una posizione per allattare che non conoscevo, la “semi-reclinata”, nella quale il bambino deve stare a cavalcioni di una mia coscia un po’ flessa, e cadere con la testa sul seno, mentre io, a letto e con le gambe sollevate da un cuscino, resto appoggiata contro lo schienale. Secondo lei questa dovrebbe sollecitare meno le zone infiammate. Mi ha visto un po’ preoccupata e mi ha chiesto se volessi restare un giorno in più. No, non ci penso nemmeno, ho risposto. Anche se in cuor mio avevo paura di non essere pronta. 

Fabio mi è venuto a prendere, siamo andati a casa dei suoi, c’era sua zia e gli altri due bimbi, ignari del nostro arrivo. Entriamo in casa e sentiamo che stanno parlando di lui: “E come lo chiamerete? Santiago? Gabriele?” E Leo: “La mamma lo chiamerà Go-Ga, come le sillabe finale e iniziale dei due nomi!”. E in quella varchiamo la porta della cucina. Commozione generale. Non se l’aspettavano proprio. Un saluto veloce e siamo tornati a casa, lasciando i bambini qualche ora ancora dai nonni. Poi Fabio è uscito. Io sono rimasta sola con Goga ed è stata una bella sensazione. Dopo poco tuttavia ho cominciato a sentire il seno duro e dolente, specie il sinistro. E nel quadrante supero-esterno potevo apprezzare un cordone spesso e dolorabile. E ho iniziato a preoccuparmi.

Ieri sera Fabio ha dormito con me. Io, reduce dal tour de force del parto/ricovero, avrei dormito 24 ore di fila. Ovviamente Goga non era della stessa opinione. Ho allattato a letto, ma con Fabio di fianco temevo che potesse schiacciare il bambino. Dal mio lato avevo la culla Next to me, che però ho tenuto chiusa perché non mi fidavo (prima la vorrei collaudare aperta di giorno). 

Visto il seno duro come pietra, stamattina ho provato a montare il tiralatte elettrico e a tirare un po’ di latte: nel giro di due minuti ho visto comparire nella bustina trasparente circa 50 ml di latte, non colostro, vero latte. Mentre cambiavo lato cercavo spasmodicamente su Google quanto dovesse poppare in media ad ogni pasto un neonato di pochi giorni e va a finire che scopro di aver già superato la quantità indicata. Travaso il latte nel biberon (non ho il biberon compatibile con il tiralatte, devo provvedere) e provo a darglielo. Alla faccia della tettarella “flusso 1”, Goga si è scolato il contenuto in trenta secondi netti, ovviamente poi ha cominciato a singultare come un matto, metà gliene è andato di traverso e io mi son sentita, come ai vecchi tempi, la solita madre degenere…

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