26 maggio 2011

Come sapete, quel famoso 27 aprile, di ritorno dalla Corsica, il pediatra mi disse di fare gli esami a Pietro, tra cui i markers infettivi di toxoplasma, citomegalovirus ed epstein barr virus.

Quando ho visto gli esiti, con alta positività di Pietro per IgG e negatività per IgM per citomegalovirus (indicanti una infezione pregressa, anche se probabilmente non più lontana di tre mesi prima, visto l’alto titolo di IgG, ma comunque non in fase attiva) ho pensato: per me nessun rischio, tanto sono immune.

Poi ci furono i giorni col febbrone e il Pronto Soccorso per cui la cosa non mi diede più pensiero. Ma una mia amica mi diceva che, a differenza dell’epstein barr (che dà la mononucleosi e che comunque non dà problemi al feto), il citomegalovirus non dava immunità persistente e che la gravida, seppur già immune, poteva recidivare con l’infezione (anche se con conseguenze di solito meno importanti). A quel punto vado a recuperare i miei vecchi esami che risalivano al 2001 circa (non li avevo ripetuti nemmeno alla mia prima gravidanza) e… sorpresa: ero sì immune al toxoplasma e alla rosolia (di cui avevo fatto il vaccino a 13 anni) come ricordavo, ma al citomegalovirus no! E alla gravidanza di Pietro, visto che non avevo contatti con bambini piccoli, la mia ginecologa non me l’aveva fatto controllare.

Presa dal panico, il giorno successivo vado a fare gli esami per il citomegalovirus.

I referti ufficiali ci mettono qualche giorno a uscire, ma si dà il caso che, lavorando in ospedale, io possa vedere su computer i risultati prima che vengano validati ed effettivamente pubblicati.

Ora, non so cosa ho letto. Mi ricordo un numero molto basso. Per cui ho pensato di essere negativa. Ma siccome non sono del tutto una sprovveduta, sapendo che a volte i cut-off di positività sono molto bassi, sono comunque andata a vedere i range di normalità del citomegalovirus (che avevo a disposizione in quanto avevo in mano gli esami di Pietro, appena fatti e validati). Nonostante questo, ho visto e appurato con somma gioia (condivisa con tutto il reparto) che ero rimasta negativa. Sebbene il pensiero di S. Tommaso (sarebbe a dire “finché non tocco con mano gli esami ufficiali non esulto del tutto”) mi abbia sfiorato, col fatto che Pietro è stato ricoverato e tutto il resto, non ci ho più pensato. E credo che alla fin fine, sia stata anche questa una Provvidenza. Perché, ad averlo saputo subito, non so come avrei fatto ad affrontare anche quel fardello d’ansia mentre ero alla De Marchi.

Fatto sta che due giorni prima della dimissione mi organizzo con la ginecologa per fare un controllo eco. Ero alla quindicesima settimana e lei mi aveva detto che mi avrebbe rivisto verso la tredicesima (l’unica eco che avessi fatto era stata alla nona). Perché: “Un’occhiata gliela ridarei tra un mesetto” (e anche se non l’ha detto esplicitamente, il concetto era: “Visto il precedente aborto che hai avuto, è meglio ricontrollare che vada tutto bene”). Ero felicissima di andare a fare l’eco anche perché l’idea era di staccare e fare finalmente un giro fuori dopo sei giorni di clausura. Un po’ di ansia c’era appunto perché ero in ritardo rispetto a quanto mi avesse detto e poi perché da qualche giorno avevo dei dolorini. Inoltre avevo (ed ho tuttora anche se meno forte) un disturbo molto strano: se fletto una gamba o un braccio o anche a letto se sono rannicchiata e mi distendo, sento come se i muscoli si contraessero e facessero fatica a rilasciarsi, come se avessi dei mini-crampi che ci mettono un po’ ad andare via, ma che alla De Marchi a volte mi strappavano anche un gemito.

Insomma, immaginate la mia sorpresa quando, arrivata all’ospedale, accendo il PC e scarico i risultati definitivi: IgG negative ma IgM lievemente positive (tipo che il cut off è 1 e io ho 1.39). Mi crolla tutto. Mi dico: ma che cazzo ho guardato l’altra volta? E ancora la risposta non me la so dare. O ho guardato male (e ci sta perché ero angosciata per Pietro), o mi hanno cambiato i risultati in itinere. Fatto sta che il commento era “possibile infezione acuta in atto o aspecificità delle IgM: si consiglia ripetizione esami tra quindici giorni circa”. Quindici giorni che praticamente scadevano due giorni dopo. Io vado in palla. Chiamo Fabio che stava raggiungendomi per assistere all’eco e insieme ci dirigiamo in ostetricia. Quando lo dico alla mia ginecologa, amica e quindi al corrente di tutto,  mi dice: “Certo che siete proprio un po’ sfigati!”

Inizia l’eco e io la vivo malissimo: continuo a guardare se il bambino ha il cervello, se è calcifico, se ha tutte le cose a posto. Le chiedo per piacere di guardare bene e lei, pazientemente, mi dice che è tutto a posto e che si vedono già i reni. Io, nel frattempo, mi rilasso anche se come eco non mi è piaciuta. Rispetto a quella che avevo fatto di Pietro a circa 12-13 settimane in cui si vedeva proprio il bimbetto galleggiare (da lì il soprannome “Sguazzino”) questo mi sembrava tutto pigiato in basso e probabilmente già troppo grosso per avere l’effetto “sguazzino”, ma troppo piccolo per dare l’effetto “omino”. A quel punto le chiedo se riesca già a vedere se è maschio o femmina, anche se non lo voglio sapere. Lei fruga tra le gambe e sorride un po’ così. E dice: “Io l’ho già visto!”. A me sembra di vedere un pisello, ma anche con Pietro mi sembrava e lei mi aveva detto: “Non è il pisello, è il cordone, stai tranquilla che se non vuoi che te lo dica, mica te lo faccio vedere!”. Per cui mi consolo, ma decido di buttarla lì e le dico: “Uffa… io volevo una bimba!” Pensavo che rispondesse qualcosa tipo: “Ma mica ti ho detto che è maschio” invece mi fa: “E io cosa dovrei dire che di maschi ne ho fatti quattro?!?” A quel punto ho dedotto che era maschio. E anche Fabio, perché esultava. Quando siamo usciti ho pensato che avrei voluto sapere il sesso questa volta. Perché il pensiero di desiderare una femmina e poi trovarmi al momento del parto a scoprire che è maschio e magari provare un vago senso di dispiacere non mi aggradava minimamente! Ho pensato di dirle: “Se è maschio dimmelo subito, così mi abituo all’idea, compro tante cosine azzurre (che con Pietro non avevo potuto fare) e mi concentro sui nomi. Ma se è femmina, ti prego, non dirmelo e lasciami la sorpresa al parto”. Poi ho realizzato che la cosa era ovviamente infattibile.

Tutto questo per dire che, nel mezzo delle peggiori “tragedie”, l’essere umano riesce sempre ad essere egoista e sciocco: con un figlio ricoverato e uno in grembo potenzialmente malato… io andavo a pensare al fatto che mi sarebbe dispiaciuto non avere una bambina!

Dimessi dall’ospedale di venerdì, lunedì prenoto gli esami e li faccio martedì. Nell’impegnativa mi son fatta mettere di nuovo toxoplasma (per psicosi mia), rosolia (per paura che il vaccino non mi coprisse più) e glicemia (per vedere per la quarta volta se fossi davvero diabetica). Poi gli esami della tiroide per capire se, visto che son dimagrita 7 Kg dal post parto (5 Kg dal mio peso precedente alla gravidanza di Pietro) ci fosse un motivo endocrino a cui correlare le mie glicemie un po’ sballate (teoria abbastanza impropria e comunque confutata dagli esami che mostrano tiroide normale). Confermata l’immunità per toxo e rosolia, visionato l’88 di glicemia (che mi ributta nella terra di nessuno dopo un 108, un 90 e un 96 – diabete gestazionale sì o no?), mi concentro sul citomegalo: IgM raddoppiate (3 e passa), IgG positive a 80! Praticamente confermavano l’infezione appena avvenuta in quanto si erano appena formati (a basso titolo, perché Pietro ne aveva più di 250) gli anticorpi della memoria e in più persisteva la positività della IgM. Chiamo Fabio il quale cade dal pero: lui davvero contava sul fatto che ci fosse un errore del laboratorio (anche se il risultato del primo prelievo era stato ritestato con un secondo metodo). Io vado in panico e poi piango perché lui, forse non accorgendosi, al telefono mi dice: “E adesso? Ma come hai fatto a prenderlo? Possibile che non sapessi di essere negativa?” A parte che il virus viene eliminato per mesi nelle urine e nella saliva, per cui l’unico modo per non prenderlo è stare attentissimi a non metter in bocca posate del bambino e lavarsi bene le mani dopo tutti i cambi patelli (tra parentesi, chi non è immune e cerca un altro figlio, se vuole può beneficiare di un mio bacio con la lingua nella speranza di farsi l’infezione prima della prossima gravidanza…), io rifletto e mi chiedo se, sapendo di non essere immune, mi sarei comportata allo stesso modo con Pietro: e penso che forse non avrei finito i cibi che lui avanzava, ma niente di più, i baci glieli avrei dati lo stesso! Poi mi dico che comunque non avrei dosato gli anticorpi se non l’avessi trovato casualmente a Pietro. Poi mi dico che forse invece alle gravide non immuni il test andava fatto ogni mese, ma poi la gine mi dice che no, che me l’avrebbe fatto fare solo nel caso di sintomi che però possono andare dal febbrone+linfonodi+prostrazione estrema a un forte mal di gola a un lieve malessere, mal di testa, disturbi generici, insomma… difficile da capire! Poi penso che quell’asilo nido di merda sia stata la causa di tutti i nostri problemi.

Tornando a Fabio, io cerco pure di tranquillizzarlo dicendogli che ho letto questo e quello e che andrà tutto bene, ma la verità è che avrei voluto piangere io e sentirmi tranquillizzare da lui. Penso che un bel pianto non me lo sono mai fatta. Che ho sempre versato qualche lacrimuccia, mai sufficiente per un bello sfogo. Penso che in effetti tutti i miei tre concepiti, in un modo o nell’altro, hanno/hanno avuto/potranno avere qualche problema più o meno grave di salute. Penso che ha ragione la mia gine a dire che “siamo un po’ sfigati”.

Poi penso che alla fine (finora) la malattia di Pietro s’è risolta nel migliore dei modi, che è pieno il mondo di bambini che non sono venuti al mondo e nessuno saprà mai perché e che magari son qui a pensare il peggio e questo che ho in pancia sta benissimo.

Penso alle madri coi bimbi leucemici, pelati e con la mascherina, che ogni tanto vedo in ospedale, e da un lato dico: “Quelli sì che son sfigati!”. Dall’altro poi penso che anche quella madre, vedendo forse il vicino di letto di suo figlio stare male e magari morire, avrà pensato: “Quello sì che è sfigato! Mio figlio, seppur con la leucemia, è ancora qui”.

Realizzo che lo spirito di sopravvivenza dell’essere umano è tale per cui la speranza non cede mai. E che l’uomo, seppur egoista e sciocco, è pieno di risorse e, soprattutto, non è solo in questo mondo.

Metto da parte l’emotività e comincio a ricostruire. Il fatto che prima di partire per la Corsica avessi un prurito al naso. Il fatto che la sera prima avevo dolori muscolari a tutta la schiena e che poi (come sempre quando sono un po’ infiammata) il giorno dopo durante il viaggio mi sono paralizzata la schiena totalmente. Il fatto che mi era andata via la voce (completamente afona anche se senza mal di gola). Il fatto che dal giorno che siamo tornati, avevo un mal di testa fortissimo, che durava giorno e notte e che non passava nemmeno con la Tachi (vi ricordate che ve l’ho anche scritto?). E realizzo che probabilmente l’ho fatta lì. Nella peggiore delle ipotesi, quindi, ero ancora nel terzo mese, verso la fine. E come tutti i virus, il fatto è che a inizio gravidanza, sebbene sia più difficile trasmetterlo al feto, i danni sono sempre maggiori in caso di trasmissione. 

Alla fine la cosa è così: delle madri che prendono il virus in gravidanza, il 30-50% lo trasmette al feto. Dei feti che se lo prendono, il 10% ha complicanze gravi: anencefalia, calcificazioni cerebrali o addominali, morte intrauterina, oligoidramnios, polidramnios, parto prematuro, ritardo mentale alla nascita, ittero, petecchie, epatomegalia, morte perinatale, cecità e sordità alla nascita. Del restante 90%, il 10% circa avrà conseguenze non evidenti alla nascita, ma che si manifesteranno anche anni dopo, tra cui cecità e sordità progressive. 

Le percentuali si sa, se favorevoli al bene, come in questo caso, non servono altro che a consolare. Chiaro che poi, se ti becchi la pagliuzza del 10 %, le percentuali non servono più a niente. Però sono un aiuto, come fu con Pietro, per il quale c’era il 20% di possibilità di avere problemi al cuore a fronte però di un bell’80% di non averne (motivo per cui mi incazzavo quando mi dicevano che era “grandioso” il fatto che non li avesse).

Ragionando: cose gravi non se ne sono viste all’eco fatta alla 15esima. Gli organi a quell’epoca dovrebbero essere tutti già formati, anche se alcuni non si vedono bene ancora (infatti la gine ha detto: “Si vedono già i reni” come se non fosse sempre possibili vederli e vederli sani con certezza a quell’età). Mi ha detto subito di ricontrollare l’eco a distanza di quindici giorni (domani, per la precisione) e questo, ovviamente non mi ha tranquillizzato molto. Chiaro che se sono nel 50-70% delle mamme che non lo trasmettono, il problema non sussiste. Ma altrimenti è una gran rottura di balle perché per anni vai avanti a fare controlli di udito e vista al bimbo con l’ansia che si possa trovare qualcosa. 

Come si fa a sapere se il feto l’ha preso? Alla nascita con un esame del sangue oppure in gravidanza, con un’amniocentesi. 

Per la malattia non c’è niente che si possa fare.

Se non che, a Pavia, a Bergamo e ho scoperto anche qui a Monza, è partito un protocollo sperimentale che prevede la possibilità di trattare la mamma incinta con immunoglobuline (praticamente come ha fatto Pietro per la Kawasaki) nella speranza di dare le difese al nascituro e di ridurre le probabilità di contrarre il virus o le conseguenze cliniche nel caso lo contragga. Il punto è che, se ho capito bene (e la conferma me la darà la ginecologa domani), prima vogliono appurare se il bambino l’ha preso o meno (sennò come fanno a dimostrare che la cura funziona?). E quindi dovrei fare non solo l’amniocentesi, ma anche la funicolocentesi (cioè il prelievo del sangue fetale dal cordone) che sono due procedure, soprattutto la seconda, gravate di una certa percentuale di complicanze tra cui la morte fetale (dallo 0.5% al 2% circa se ricordo bene). 

Io non ho nessuna intenzione di eseguirle.

Perché un bambino già l’ho perso.

Perché non voglio nemmeno lontanamente rischiare di perderne un altro, soprattutto per causa mia e a maggior ragione se magari anche perfettamente sano e non infetto.

Perché mio figlio me lo terrò anche deforme, sordo e cieco.

Quindi: o mi fanno ‘ste immunoglobuline alla cieca (e qualche dubbio ce l’ho comunque perché sono emoderivati, come il sangue o le piastrine e, sebbene screenati per tutti i virus noti, possono comunque trasmettere infezioni magari al giorno d’oggi sconosciute) o io non faccio niente e aspetto.

Questo è quanto.

E domani vi dirò come andrà avanti!

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