19 maggio 2011

Ok, anche se la voglia rasenta lo zero, mi accingo al papirone riassuntivo…

Arrivati a Milano quel venerdì mattina abbiamo subito avuto a che fare con questa professoressa, che appunto si occupa di Kawasaki e che già telefonicamente tramite il mio primario era stata messa al corrente della situazione (e secondo me, aveva già etichettato Pietro come Kawasaki). Il giorno prima infatti era stato tutto un continuo di telefonate a conoscenti, amici, medici, pediatri. E ciascuno diceva la sua. La cosa in comune era comunque che il mio pediatra era stato assolutamente in fallo nel non effettuare il tampone a Pietro a inizio aprile e che se Pietro avesse avuto davvero la Kawasaki, sarebbe stato comunque troppo tardi per una terapia efficace.

Arrivati, l’inizio non è stato dei migliori. La Prof. ci ha subito dato le carte per il ricovero in modo che potessimo fare l’ecografia specialistica sul cuore (il vero motivo per cui siamo finiti alla De Marchi) e visita cardiologica. Fabio allora interviene e fa presente che noi non abbiamo ancora chiuso il discorso ricovero a Monza (nel senso che eravamo d’accordo che, se a Milano non avessero avuto posti letto, saremmo tornati a Monza con tutte le indicazioni necessarie per fare la terapia). Per cui chiede se non possiamo fare l’eco cuore da esterni e poi venire ricoverati nel caso di patologia coronarica. Lei ci rimane visibilmente male (ma la capisco, si era sbattuta per trovarci il posto!). Per cui ci tratta male. Ci manda con impegnativa a fare ecocardio e poi dice: “Se è negativo, fate un po’ come volete, ma se è positivo vi consiglio vivamente di restar da noi!”. Andiamo su con l’ansia. Era chiaro che lei era convinta che Pietro avesse le complicanze, in quanto bambino non trattato. Discuto con Fabio e decidiamo che in ogni caso saremmo rimasti lì (il vero problema era logistico, vista la mia gravidanza e i controlli che avrei dovuto fare a breve). L’ecografista dice che il cuore è normale (a parte il forame ovale pervio, che però non è un serio problema, si chiuderà). E poi è la prima che mette in forse la diagnosi. “Ma…e se non fosse Kawasaki? La professoressa ne è certa? E se fosse un problema reumatologico? Non ha mai avuto articolazioni ingrossate?”

Torniamo giù e la Prof. (ve lo giuro) al vedere che l’eco è normale fa una faccia sorpresa e arrossisce anche e poi fa: “Ah… Vabbeh… Allora? Ehm, cosa avete deciso?” E io e Fabio, leccando il culo: “Stiamo da lei, Prof!” E pensiamo di aver guadagnato qualche punto.

In realtà inizia il calvario perché lei si mette a raccogliere tutta la storia clinica di Pietro ed è un continuo: “…Ma com’è possibile, siete medici, ma dove avete preso la laurea, ma una VES così alta non vi ha fatto pensare che la cosa fosse importante, ma chi è il pediatra che non ha fatto il tampone, ma chi è che non l’ha ricoverato, ma perché il tampone non l’avete fatto voi da soli, siete medici, ragazzi, ma dove avete preso la laurea…” e via andare. Inutile dire come mi sentissi. In primo luogo in scienza e coscienza io ho fatto di tutto sia perché venisse effettuato il tampone, sia perché Pietro venisse ricoverato quella notte in PS. E, se non fosse stato per la mia telefonata in Day Hospital quel giovedì (dopo che non mi avevano richiamato come promesso mercoledì), non saremmo nemmeno andati a Milano. Poi c’era la frustrazione. Per esempio non sapevo che la lingua a fragola fosse tipica anche del Kawasaki oltre che della scarlattina (e quando l’avevo vista mi ero detta, tampone sì, tampone no… cavolo, è proprio scarlattina!). Inoltre non era la prima volta che venivamo accusati di superficialità perché anche il giorno prima, quando finalmente il medico del Day Hospital del S. Gerardo che ha avuto per primo l’idea della Kawasaki mi ha parlato, ha sostenuto che un bambino così, con febbre dal 5 aprile lui l’avrebbe ricoverato subito, prima ancora che lo portassi in PS, in particolare il giorno in cui ha fatto i primi esami di rientro dalla Corsica, quindi il 26. Corsica che nessuno ha detto essere stata una cazzata, ma che era chiaro che tutti pensassero che non fosse stata un’idea grandiosa portare il bambino al mare dopo qualche giorno di febbricola in uscita da una scarlattina…

Infine a me hanno sempre detto che quando porti il figlio dal pediatra non devi fare il medico, devi scordarti di essere medico. Devi fidarti. E comunque io non mi sono mai fidata completamente. Non era la prima volta che il mio pediatra mi lasciava dei dubbi. Ma addirittura IMPORGLI di fargli il tampone mi sembrava assurdo: allora perche ce lo porto se penso di saperne di più io?

Insomma, finita l’anamnesi, la Prof lo visita. Non sa che dire riguardo all’eruzione papulare su tutto il corpo che lo fa grattare come un ossesso, dice che il prurito non è tipico del Kawasaki. Ma in effetti mancano alcune cose come la spellatura delle estremità (che Pietro non ha avuto, o meglio, si è spellato uniformemente dopo la “scarlattina”, ma non ha perso lembi interi di pelle dalle dita!) e la congiuntivite senza secrezioni (mai avuta, ma proprio tipica). 

Inoltre la storia era così: dal 5 aprile (il giorno dopo che io ero stata male vomitando l’anima, se vi ricordate) Pietro ha avuto febbrone. La notte era tutto gonfio in faccia. Il giorno dopo aveva un’eruzione cutanea tipo scarlattina ma con componente orticarioide che ha fatto dubitare inizialmente anche il mio pediatra. Ha iniziato Zimox e dopo alcuni giorni ha avuto la lingua a fragola. Non si è sfebbrato prima di 6 giorni (altro criterio della Kawasaki) e comunque con tantissima Tachi con Nurofen. Dopo mi han detto che avrebbe dovuto sfebbrarsi in due giorni e che comunque la scarlattina a 2 anni è rara! E’ andato al nido tre giorni e il martedì successivo aveva ancora 38.5°C. Poi solo 37.8°C serali fino al giorno in cui siamo partiti per la Corsica. Là ha avuto l’ingrossamento di tutte le ghiandole del collo, il prurito (era appena passato quello della scarlattina con relativa spellatura!) e le notti irrequiete con al massimo 38.4°C di febbre. Di giorno, un angelo. Al mare poi la Clara, 3 anni, ha sviluppato tosse catarrale e 39.5°C di febbre. Tornati a casa, la mattina dopo, Pietro aveva tosse e febbre a 39.5°C. Dopo lo Zitromax, che poi gli abbiamo dato la notte successiva per la tosse, ha avuto un nuovo esantema rosato sul torace e poi ancora maggior prurito e la fuoriuscita di queste papuline, tipo granini sottocute che stanno ancora andando via adesso. Insomma: se non fosse stato per la VES molto alta e le piastrine alte, era ancora plausibile che lui avesse fatto la scarlattina, poi avesse preso un virus all’asilo in quei tre giorni che è andato e poi la bronchite dalla Clara, no?

Tornando al racconto, la professoressa gli fa fare gli esami del sangue (i terzi in una settimana!). Undici provette! E lui diceva, guardando una provetta riempirsi dopo l’altra: “Finito?”. Piccolo mio. Alle 16.00 finalmente si libera il letto e andiamo su in pediatria. Appena entro in reparto vengo colta da una forte emozione. A vedere i bimbi con le flebo che giocano nella saletta mi vengono (finalmente) le lacrime agli occhi e mi chiedo come sia possibile che mio figlio sia finito lì. In stanza c’è una poltrona letto per me e un lettone da adulti con le sbarre per lui. Un bagno e una tv (di cui però non potrò avere i comandi fino a lunedì e quindi me la faccio accendere, posizionare su Rai Yoyo e poi spegnere). Alle 18.00 parte la terapia fatta di infusioni di immunoglobuline. Pietro muove il braccio e continuamente suona la pompa della flebo. Io gli tengo la manina e la cosa va avanti fino alle 3.00 del mattino. Dopo una certa ora lui si era pure addormentato. Io sono anche riuscita a dormire un pochino, ma lui muovendosi nel sonno, principalmente per grattarsi, fa suonare la pompa, per cui è un continuo alzarsi, raddrizzare il braccio, resettare la pompa e tornare a sdraiarmi. Mancavano venti minuti alla fine che Pietro si gira di scatto e l’agocanula esce irrimediabilmente di vena. Chiamo l’infermiera, che deve riposizionare l’ago. A fine infusione, finalmente, dormiamo. La mattina alle 7.00 trovo tutto il suo letto pisciato. Chiedo cortesemente di rifare il letto. Ma alle 9.00 ancora non viene nessuno. Metto Pietro nel mio. Quando arriva Fabio vado a bere un caffè e al mio ritorno mi sento dire: “Ma signora, non lo sa che la tazza della colazione va portata fuori? Ma perché il suo letto non era tirato su? Ma perché ha tolto l’asse di legno da sotto il materasso?” Insomma, sinceramente, tutti, dagli infermieri alle ausiliarie, sono stati veramente scortesi e insensibili dall’inizio alla fine del ricovero (avevo persino paura a chiedere un biscotto in più per Pietro! E un giorno mi hanno detto che il letto non avevano tempo di rifarlo, che lo rifacessi pure da sola che le lenzuola stavano nell’armadio in corridoio). La cosa assurda è che siamo in un reparto di pediatria, dove chiaramente la situazione è molto delicata! Agli infermieri, dopo l’infusione di immunoglobuline continuavo a chiedere se non fosse il caso di togliere la canula perché gli dava fastidio e poi il cerotto era sporco e non potevo lavargli la manina. Loro dicevano che lunedì avrebbe fatto gli esami e che sarebbe stato un peccato ribucarlo. Allora io chiedevo per piacere, di fargli un lavaggio che sennò magari si sarebbe ostruita. “No, signora.” Chiaramente, dopo due notti a impazzire perché non se la sfilasse, lunedì mattina la canula non funzionava e Pietro è stato ribucato.

Non che i medici siano stati meglio. Nel weekend son passati i medici di guardia che chiedevano: “Tutto bene?” E stop, non una visita. Con uno, dopo ho addirittura pianto perché è entrato deridendo la storia di Pietro e sostenendo –testuali parole- che: “…Hanno rotto i coglioni con tutte queste Kawasaki che non hanno tutti i criteri. Così forzano le diagnosi…” Al che gli ho detto che io avevo portato il mio bambino lì perché mi dicessero che cosa avesse e lui mi risponde: “Non mi interessa, è un paziente della professoressa, che se la risolva la professoressa, io non ci metto becco”. E in tutto ciò, sapeva anche che sono una collega!!! E quando gli raccontavo la storia, mi diceva: “Ma perché gli hai dato lo Zitromax? Ma non lo sai che se la febbre scende e poi risale non è sicuramente un Kawasaki, perché nei veri casi la febbre non va giù nemmeno con l’acqua santa? Ma non sai che non si alterna mai Nurofen con Tachipirina? Basta, basta, non raccontarmi più niente che ho sentito abbastanza…” Per non parlare dell’altra dottoressa che sosteneva che il prurito fosse parte del Kawasaki e che 37.9°C rettale non fosse febbre perché: “…Da che mondo e mondo la febbre è uguale a 38°C ascellare o 38.5°C rettale” (al che io, sempre più disorientata, mi dicevo: “Ma non è possibile, Pietro quando sta bene ha 36.6 rettale! Non è accettabile una variabilità intraindividuale così alta e poi se così fosse, allora Pietro non ha avuto mai la febbre dopo la scarlattina, fino al ritorno dalla Corsica! E in tal caso la storia è tutta da riscrivere! Peccato che in Corsica stava malissimo e non era normale!”) E poi: “Ma non lo sa signora – a mia suocera – che un bambino così non può uscire dalla sua stanza?”.

Morale: otto giorni chiusi in camera. Senza mai piangere, perché davanti a Pietro non riuscivo. Solo qualche momento di sconforto con Fabio quando veniva qualcuno a trovarci verso sera e noi potevamo uscire a prendere il caffè. Pietro dal canto suo è stato bravissimo. A parte che aveva la sua mamma tutta per sé, ma era proprio bravo: disegnavamo, leggevamo e guardavamo i cartoni. Cantavamo, giocavamo a un-due- tre-stella (fa morire vi giuro, fateli contare che si divertono un mucchio!) Poi avevamo un computerino della Clementoni per imparare a leggere e vi giuro: a furia di giocarci sa trovare tutte le lettere dell’alfabeto e tutti i numeri fino al dieci! La sera era sempre un’impresa farlo dormire. Alla fine crollava solo se mi nascondevo in bagno, ma il rischio era che cercasse di buttarsi giù dalle spondine. Di notte si svegliava un numero infinito di volte. Voleva il succo di frutta (ne avrà bevuti centinaia!) e io glielo davo sempre. Gli davo tutto quello che chiedeva. A volte mi sdraiavo con lui, a volte veniva lui nel mio letto (ma poi, come da copione, non si addormentava mai con me!). A volte aveva gli incubi. E voleva la lucina accesa. E li ha ancora. Si sveglia un mucchio di volte e ogni tanto è come sonnambulo, urla e poi quando arrivo mi grida: “Basta! Basta! Via! Via! Basta, Basta!” E’ straziante.

Lunedì altro momento di sconforto quando agli esami le piastrine sono ancora in aumento. Altre cose poi non tornavano: l’aumento degli eosinofili e delle IgE, tutti indici di allergia in corso. Peccato che, a parte una debolissima positività per uovo e latte (sempre ben tollerati), tutti gli altri test allergici siano risultati negativi. Ad un certo punto una specializzanda mi dice che Pietro è positivo per l’Adenovirus, poi si corregge, dicendo di aver letto male i risultati. Insomma, nessuno ha mai capito perché Pietro avesse avuto quell’eruzione cutanea. Sempre lunedì la Prof. mi dice che è “grandioso” che il bambino non abbia avuto coinvolgimento cardiaco e che, pertanto, vuol tenerci fino a giovedì per poter rifare esami ed ecografia del cuore (leggi: secondo me troveremo qualcosa!). Io sono angosciata: d’altronde “solo” il 20% dei bimbi trattati tardivamente sviluppa le malformazioni coronariche, quindi c’è tutto un 80% di bimbi che saranno sani! Perché la Prof. è così pessimista? Alla fine l’eco (fatta non so come, con Pietro portato giù che dormiva e sverso perché svegliato e a digiuno perché lo hanno chiamato alle 12.30 e che urlava come in un girone dantesco strappandomi di mano il body per potersi rivestire e gridando “Basta, basta! Mamma, basta, via, via!”) è normale. Ci dimettono venerdì (tutto pronto quindi da giovedì all’una, peccato che ci mandano a casa venerdì alle 14.00!). Le indicazioni sono di continuare l’Aspirinetta fino ad almeno due controlli successivi di normalizzazione di VES e piastrine. Il prossimo controllo sarà il 15 giugno… per cui saremo in ballo per almeno due mesi… Agli ultimi esami la VES era ancora alta e le piastrine in aumento per cui venerdì prossimo pensavamo di fare un controllo intermedio qui a Monza degli esami.

Alla fine non so se ha avuto la Kawasaki. A questo punto spero proprio di sì. Perché nel caso in cui non ci siano complicanze cardiache, di solito si autolimita e ha un decorso benigno con rari casi di riattivazione. L’unica diagnosi differenziale resta una artrite reumatoide giovanile che a volte non esordisce con un artrite. E per la quale Pietro avrebbe dovuto dosare degli autoanticorpi quel famoso venerdì di sciopero (che non avrebbero analizzato quel giorno, ma mettendoli in frigo, come hanno fatto per i virus, avrebbero tranquillamente letto lunedì; ma in ogni caso non li hanno dosati). Ormai, avendo fatto le immunoglobuline, fare gli esami adesso vorrebbe dire avere un risultato falsato. Inoltre, nella maggior parte delle artriti reumatoidi giovanili, questi anticorpi vengono fuori negativi e quindi non sarebbero di aiuto.

Note positive:

-In pausa pranzo, a parte i soliti panini, sono andata ben tre volte in centro a piedi da Mc Donald (che adoro e che non mangiavo da anni)

-Un giorno sono andata da H&M e mi son comprata un reggiseno bellissimo e delle calzine!

-Sono passata anche da Abercrombie (un posto allucinante, da psicopatici… entrata e uscita!)

-Il mio rapporto con Pietro si è consolidato molto. Non sono mai stata così tanto tempo con lui da quando è nato. Lo adoro.

-Ora Fabio gli dice: “Non correre che sei disaggregato!” Oppure: “Pietro, tu sei un cardio…” E lui: “Patico!”

Mi fa morire!

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