Leo, nato di 3820 g, lungo 54 cm, circonferenza cranica 36 cm, il 31 ottobre pesava 3590 g, il 1 novembre 3730 g, il 3 novembre 3900 g e il 7 novembre 4000 g.
Tornando al giorno della sua nascita, arrivata in stanza, noto che il bimbo è stato parcheggiato al nido in attesa di bagnetto. Poco male, mi riposo un po’, anche se già mi manca. Arrivano addirittura anche le prime visite, che dirotto direttamente al nido. Mi dicono: “Che bello, non piange!”. Ma io comincio un po’ a fremere. Intanto i miei mi salutano e vanno via (hanno un congresso a Rimini, torneranno il terzo giorno).
Fabio va a sollecitare il nido per il bagnetto. Sarebbe importante raccogliere le urine con il condom, in modo da poterle inviare in microbiologia al più presto e fintanto che il bambino è sporco di meconio, non si può fare. Nonostante i solleciti sono quasi le quattro e ancora niente bagnetto. Non so quanto pesa, non so quanto è lungo. E soprattutto, mi manca.
Quando Fabio mi dice che è là che piange malcagato da tutti, vado al nido: insomma, che mio figlio abbia una deprivazione materna appena nato, e anche per causa altrui, non ho proprio voglia! Chiedo se posso prenderlo e allattarlo. “Signora, ma è sporco!” Non mi interessa. Lo attacco e via. Dopo un po’, finalmente, me lo prendono, lo lavano. Peso 3820 g, lunghezza 54 cm, circonferenza cranica 36. All’altezza del fratello maggiore! Tutto profumato, finalmente gli mettono su il condom, ma ha le palline enormi e non sta su bene.
Fabio spiega che ha preso accordi con la microbiologia per mandare le urine giù anche se venerdì, in modo che comincino a processarle per avere il risultato lunedì. Li vedo titubanti: dove le mettiamo? In frigo? Ma noi non le teniamo in frigo! Arriva la pediatra (la specializzanda, mia compagna di corso, lo visita mentre la strutturata si fa i cazzi suoi). “Fabio, parlaci tu.” Mi torna in stanza affranto: le ha spiegato che abbiamo preso contatti con Pavia che ci ha raccomandato di fare le urine al più presto e che se fossero state negative non avremmo dovuto fare più niente. La pediatra s’è incazzata. “Noi qui facciamo urine più esami del sangue più esami strumentali. Se volevate, potevate andare a partorire a Pavia.”
Io mi prendo male: “Fabio, raccogli le urine tu e portale a Pavia e vaffanculo a tutti.” Poi mi calmo, arrivano i primi parenti e amici. La notte la trascorro con Leo nel letto con me. Memore dell’esperienza precedente, lo tengo attaccato tutto il tempo, sperando di favorire la montata. Ore di sonno praticamente zero, ma sono così eccitata che non me ne accorgo.
La mattina dopo, prima delle 8.00, mi dicono che devono prelevare Leo. Mi viene un tuffo al cuore. Ecco, ora dovrei decidere se rifiutarmi o meno. Chiamo Fabio. Alla fine lo porto di là. Urla, fondamentalmente però perché gli tengono il braccino. Quando entra l’ago non sembra soffrire molto. La pelle pare carta velina, mi viene un groppo in gola. Il primo buco va a vuoto. Cambio di braccio e di ostetrica. Io comincio a sudare. Mi cola proprio il sudore lungo tutta la pancia sotto la camicia da notte. Finalmente trovano la vena, ma in un momento di distrazione l’ostetrica si gira per prendere la provetta ed esce di vena. Il poco sangue raccolto va in inutili esami del sangue (emocromo, profilo epatico) e niente viene inviato per il citomegalovirus. Vedere il secondo dei miei bimbi bucato a sole poche ore dalla nascita mi ha turbato. Sapere che avrebbero dovuto ribucarlo mi sconforta e mi angoscia.
Fabio mi chiama e mi dice di sollecitare l’invio delle urine, che il giorno prima non erano state mandate giù. Torno al nido e becco la stessa pediatra del giorno precedente.
“Eccola, la collega!” Mi dice con tono ironico
“Sì, ecco io venivo proprio per parlare…”
“Ieri ho discusso con suo marito (dandomi del lei, che non si fa mai tra colleghi, se non volontariamente), perché da quando lavoro qui, cioè “soli” dieci anni, io non ho mai cambiato i protocolli aziendali per nessuno!”
“Ma veramente, noi non volevamo cambiare i protocolli. Anzi stamattina abbiamo fatto il prelievo… Venivo solo per chiedere gentilmente se potevate mandar giù la provetta delle urine perché abbiamo sentito la microbiologia e ci ha detto che l’accetta, anche se in effetti a voi al telefono ammette di aver detto il contrario…”
“Ah, bene, mi fa piacere sapere che la microbiologia chiami VOI invece che ME!”
“No, guardi, per la verità è mio marito che è andato giù…”
“Ascolti, io non ho intenzione di pregare nessuno per avere favori. Se voi avete fatto pietà a qualcuno non mi interessa. Mandiamo giù sta provetta e basta, che con tutti i problemi che ho da trattare, voi siete l’ultimo dei miei pensieri e per me, sapere il risultato lunedì o martedì non fa differenza. Arrivederci, può andare!”
Allora con la voce rotta ribatto: “Parli così perché non è TUO FIGLIO!”
E lei, mantenendo una calma invidiabile: “Come le ho già detto, arrivederci, può andare!”
Torno in camera e scoppio a piangere. Possibile essere trattati così? Una madre, che ha partorito meno di 24 ore prima, trattata così nel mentre che si parla della salute di suo figlio e poi, lasciatemelo dire, anche una collega! Fabio mi trova in lacrime e fa per andare di là.
Poi prevale il senso di responsabilità. Non facciamo casini, non piantiamo casini. Che poi sta stronza trova il pelo nell’uovo che non va e ci tiene dentro una settimana.
Passano così anche il sabato e la domenica, io sempre più innamorata del piccino che ciuccia a più non posso.
Lunedì mattina nuovo prelievo del sangue, questa volta andato meglio, anche se la metà degli analiti è uscita emolizzata perché aspiravano con molta fatica.
Sono lì che chiamo i miei colleghi per sapere i risultati degli esami che però non sono ancora pronti e mi avvisano di preparare il bambino che sarebbe arrivata la pediatra a visitarlo. Sto per spogliarlo e mi chiamano per fare l’ecografia cerebrale.
Ecco, mi dico, qui han fatto partire tutto l’iter prima ancora di sapere se gli esami sono positivi. Pavia mi aveva detto che sarebbe stato un over-treatment: se urine negative, niente eco, niente fundus, niente di niente. Senza contare che la dottoressa mi aveva pregato di chiamarla per portarle le urine in ogni momento, che non si sarebbe né offesa né disturbata perché “…come si fa ad offendersi quando una madre per di più collega ha un problema con la salute di suo figlio!” (questo per dire la differenza).
Fatto sta che vado giù. Le gambe non mi reggono, ho notoriamente la pressione sotto le scarpe e non sono abituata a camminare. Tengo il fiato sospeso per tutta l’eco, ma il medico mi dice che è normale. Normale. Sono contentissima.
L’altra mia paura era per l’eco addome: se avessero trovato qualcosa anche che non c’entrava niente ma che poi ci saremmo portati dietro per tutta la vita? Una delle ragioni per cui non si devono fare esami a caso è che si trova sempre qualcosa che non va, l’organismo umano non è perfetto. L’importante è inquadrare l’alterazione nel contesto di un disturbo. Se io faccio un’eco addome a caso e trovo un angioma epatico bello grosso per dire, anche se sto cercando altro, poi sono costretto a convivere con la consapevolezza di avere dentro di me questo angioma. Alla fine l’eco addome non l’hanno mai richiesto.
Torno su, la pediatra, un’altra, questa volta, mi spiega che gli esami non arriveranno tanto presto. Che comunque da loro la politica è in effetti fare anche fundus e potenziali uditivi evocati anche se gli esami sono negativi e per finire, la visita infettivologica. Io non sono molto d’accordo, ma i modi della dottoressa e la spiegazione (“…mica che sia l’unico bambino con la corio retinite da citomegalo senza citomegalo rilevabile!”) anche se pessimistica e un po’ assurda, mi convincono.
Mi chiama un mio collega, tremo. Sai qualcosa degli esami? In realtà no, ma guardo. Mi dice che ci sono gli anticorpi: IgM negativi, IgG positive. Altro motivo per cui Pavia non fa anticorpi: se trovi le IgG potrebbero essere quelle della madre, mentre se non trovi le IgM potrebbe essere che ancora non le ha prodotte il bambino. Insomma, non si fanno perché non hanno un’interpretazione univoca.
Il DNA su urine e sangue ancora non c’è. Nel frattempo, siamo dimissibili. Chiamo Fabio, gli dico di passare in micro e chiedere e poi di venire su da me. Poco dopo mi suona il telefono, è un’altra mia collega.
“Ti chiamo per gli esami!”
“Sì, lo so, gli anticorpi sono dubbi e il DNA non c’è…”
“Veramente è arrivato tutto! E’ tutto negativo!”
Mi vien da piangere. Grazie, grazie le dico. Metto giù e chiamo Fabio.
“Lo so!” Mi dice prima ancora che parli “Me l’hanno appena comunicato in microbiologia!”
Così sembra essersi conclusa l’epopea del citomegalovirus.
Posto che ancora finchè non vedo i cartacei con i miei occhi, non riesco a crederci e posto che dopodomani mattina ho comunque gli appuntamenti per il fundus e i potenziali evocati, sembra tutto finito.
E mi sento strana. Come quando con Pietro alla fine ‘sta Kawasaki non sembra aver lasciato traccia al cuore. Come quando finisci un esame e ti senti svuotata e magari hai preso 30 e ti dici, ma cazzo, valeva la pena avere tutto ‘sto stress quando poi le domande erano così semplici?
E paradossalmente mi sento pure un po’ in colpa. Nei confronti delle persone che ho coinvolto, amici e parenti. Dei miei genitori, che hanno smobilitato tutte le comunità San Pio X diffuse in Italia per pregare per me (e l’ho saputo solo a fine gravidanza) mentre io nemmeno quasi pregavo.
Nei confronti delle altre mamme che invece il problema l’hanno avuto e magari non ne hanno fatto nemmeno parola o comunque non si sono mai lamentate come me.
In ogni caso, sono qui, con i miei due lontrini, come li chiama Fabio, ad aspettare con gioia ancora una volta quale nuova sfida ci presenterà il futuro e quale ulteriore battaglia ci proporrà la vita.