Quest’anno finalmente sono riuscita a tornare in Corsica, ospite dei miei genitori, con i quali ho condiviso 40 metri quadri per quindici giorni. Fabio non è venuto e io ho dovuto imbarcarmi in questa nuova esperienza di madre single in viaggio con tre figli. Mi preoccupava lievemente la partenza dovendo prendere il traghetto da Livorno: già immaginavo SG urlante sul seggiolino mentre i grandi si menavano litigando per chi avesse diritto a scegliere la canzone da suonare. Invece devo dire che è andato tutto piuttosto bene, pausa in Autogrill compresa. In cabina (sì, ho preso la cabina e consiglio assolutamente di farlo anche se si viaggia di giorno) la parte difficile è stata domare l’eccitazione dei maggiori che, come mufloni impazziti, continuavano a saltare da un letto all’altro. Alla fine, chiuse fuori le bestie, Santiago ha potuto fare un ulteriore sonnellino. Gli ho propinato la pappa alle 11.00 e alle 18.00, praticamente anticipando gli orari di pranzo e cena per far quagliare quelli del traghetto. E ha funzionato. Il tratto da Bastia a casa è stato tranquillo, paesaggi bellissimi e figli tranquilli. E poi io amo guidare.
Arrivati alla meta, dal punto di vista organizzativo avevamo deciso che i miei avrebbero dormito nell’unica camera da letto assieme a uno dei miei maggiori, incastonato con una brandina pieghevole tra il matrimoniale e il muro di fondo, mentre l’altro avrebbe dormito con me sul soppalco in legno che dà sulla sala e che avrebbe ospitato anche il lettino da campeggio per SG. Non avevamo fatto i conti con l’afa atroce di questa estate: in cima alla ripida scaletta la temperatura era pari a quella di un bagno turco e anche il livello di sudorazione era il medesimo. Dopo le prime due notti ho deciso che avrei portato il lettino da campeggio e la mia brandina in sala e che avrei dormito al piano terra. Il problema tuttavia a questo punto diventava la sveglia del bambino, che, ben lungi ancora dal dormire una notte intera, per di più si destava irrimediabilmente al passaggio del cane o dei miei genitori, mattinieri per antonomasia, verso le 6.30 del mattino. Disperata, perché normalmente SG dorme anche fino alle 8.30 e non accettavo di alzarmi all’alba, mi sono rassegnata a tornare nel forno crematorio per i restanti giorni di vacanza.
Si dormiva in mutande (o col patello) e ci si svegliava innumerevoli volte. Durante le pause notturne ho provato diverse combinazioni: ciuccio, camomilla, latte. Il latte, tuttavia, lasciato nel thermos una volta preparato, si trasformava comunque entro mattina in caglio rancido. Alla fine ho optato per le confezioni liquide già pronte, vendute in dosi da 300 ml, esattamente equivalenti al volume del biberon delle 3.00 di notte. In questo modo, aprivo la confezione e somministravo il latte a temperatura ambiente (senza rischiare di cadere dalla scala nel tentativo di raggiungere il microonde). Sarà stato il caldo, ma il pargolo sembrava gradire anche così. Ciononostante, poteva accadere che si svegliasse alle 2.00 e poi alle 3.00, alle 4.30 e poi alle 5.00. Poi ancora alle 6.00, alle 7.00 e, infine, alle 8.30. Per questa ragione ho deciso che, pur di non perdere un paio di ore di sonno, avrei rischiato la liquefazione sul soppalco (senza contare le capocciate al soffitto).
Il pomeriggio, per consentire a tutti noi di poter circolare liberamente in casa, abbiamo deciso di portare il lettino in camera dei miei (dove a questo punto non si poteva più entrare se non tuffandosi direttamente dall’uscio al materasso del matrimoniale). In questo modo il bambino dormiva dopo pranzo anche un paio d’ore. Certo, alla fine due volte al giorno c’era il cinema di aprire e chiudere il lettino (che non passava aperto dalla porta) e di portarlo su e giù dalla scala mortale. Ma verso la fine della vacanza, con un po’ di pratica, anche questa è diventata una routine accettabile.
Al mattino facevamo colazione tutti insieme sul terrazzo e poi andavo al mare coi bimbi. Una volta che il nonno ha attivato il gommone però le cose sono cambiate: i maggiori partivano per la gita quotidiana con lui, mentre io facevo spiaggia con SG e mia mamma stava a casa con il suo cane, fino a che non tornavo io. A quel punto usciva lei.
Le calette di sassi sotto casa hanno la capacità di accogliere appena un asciugamano e un ombrellone. Le ore passano senza vedere anima viva. In riva al mare con Santiago ho avuto modo di pensare a tante cose, alle meraviglie della natura, alla mia vita, ai miei ricordi, al mio futuro.
Tutto spalmato di crema lo portavo in acqua a fare il bagnetto. Lo lanciavo in alto e lo riprendevo. Lo trascinavo avanti e indietro. Si è divertito un sacco, ma non gradiva di essere messo dentro il salvagente con la mutandina e quindi era sempre in braccio. Amava bere l’acqua del mare, nonostante i miei secchi “NO”. Credo che le parole che ho ripetuto di più in questa vacanza siano state: “Non in bocca!” riferite a qualunque oggetto presente sulla spiaggia, dai sassi (di cosa sapranno, poi!?), alle formiche, alle alghe, ai paguri.
Il “NO” adesso lo capisce bene. Se lo pronuncio molto seria e molto decisa lo vedo trasalire, quasi spaventato. E di solito molla l’osso, di qualunque cosa si tratti.
Uscito dall’acqua, biscottino, camomilla, ciuccio e nanna. Quando finalmente si addormentava, spesso però ancora una volta in braccio a me (seduta o ingionocchiata sul telo in pose degne di una contorsionista provetta), lo adagiavo a terra e mi dedicavo al niente. Fissavo il vuoto. O mi bagnavo in acqua. O leggevo. Durava sempre troppo poco, comunque, questo niente. Ma me lo sono gustata fino in fondo.
Di solito dopo un secondo bagnetto tornavo a casa e lì partiva tutto il tran tran. Doccetta gelata all’aperto che gli piaceva molto, cambio di pannolino, pappa (ma possibile che in Francia non conoscano le farine multicereali? Praticamente gli ho fatto pastina mattino e sera!). Nel frattempo cucinavo per i mufloni che di lì a poco sarebbero tornati dal mare con il nonno.
Lavati i piatti e portato il lettino giù dal soppalco, fatto addormentare SG (a volte con fatica, altre meno), finalmente scappavo di casa. Anche se c’erano 40°C. Anche se crollavo di sonno. Andavo in spiaggia e cercavo di prendere il sole (con il bimbo al mattino ovviamente stavo sempre sotto l’ombrellone). O facevo snorkeling in solitaria, riscoprendo il piacere del silenzio e della vita sottomarina. Una volta sono andata a leggere sdraiata sul gommone legato all’ancora. Tre pomeriggi sono riuscita a trascinare il povero nonno e le due bestie per una seconda gita in barca nonostante le ore più calde. Abbiamo fatto giretti vari lungo la costa, esplorazioni con maschera e boccaglio e brevi battute di pesca (occhiate al bolentino, prese con wurstel e formaggio usati come esche, molto buone cucinate al forno dalla nonna). La nonna, dal canto suo, sorvegliava il bimbo mentre dormiva dopo pranzo, andava solitamente al mare la sera o la mattina in alternanza con il nonno, faceva lunghe passeggiate col cane quando rientravamo.
Tornata a casa giusto in tempo per il risveglio di SG, spesso me lo prendevo e me lo riportavo nuovamente in spiaggia. Qualche volta invece rimanevo a casa a giocare a scacchi con i grandi, mentre lui guardava (o sgranocchiava un pedone).
Prima di cena bagnetto, cambio e pappa. Quindi trasloco del lettino sul soppalco e fase dell’addormentamento verso le 21.00. A volte in un vero e proprio lago di sudore quando mi ostinavo ad andare di sopra con lui in braccio, ancora sveglio, sgusciante dagli avambracci come una saponetta umida. A volte, più saggiamente, camminavo avanti e indietro in giardino con il bambino in braccio fino a che non si addormentava e solo successivamente mi avventuravo su per la ripida scaletta del soppalco e lo depositavo dormiente sul materasso.
Quando non eravamo esausti, giocavamo a un gioco in scatola o parlavamo del più e del meno fino alle 23.00 circa. E poi andavamo a letto. Sono stata contenta del fatto che almeno gli altri abbiano trascorso delle notti discretamente riposate. Per me non è mai stato così, anche perché sapevo che il primo risveglio sarebbe stato a breve, attorno a mezzanotte, ora in cui gli avrei dato il biberon di latte caldo (a mezzanotte caldo, alle 3.00 temperatura ambiente). In sostanza, mano a mano che i giorni passavano, ero sempre più stanca. Fabio mi videochiamava e mi diceva che avevo un’aria sbattutissima. In effetti ero distrutta. Ma felice. E’ stata una vacanza stupenda.
Per quanto riguarda Goguito (questo il nuovo soprannome coniato da Pietro per il suo fratellino) all’inizio non è stato tutto rose e fiori con i nonni. Appena giunti a casa ha cominciato a strillare preso da un attacco di “mammite” acuta, terrorizzato che potessi abbandonarlo con i nonni in ambiente ignoto. Per i primi giorni non potevo neppure lasciare la stanza senza portarlo con me. Se i nonni gli si avvicinavano si ritraeva. Ho capito subito che il mio desiderio di affidarlo a loro per interi pomeriggi non sarebbe stato possibile. Solo una mattina sono riuscita a scappare in paese con i grandi a fare un’ora di tennis e un po’ di spesa. Le altre volte al supermercato sono andata con la nonna mentre il nonno badava a Santiago, ma supportato dai fratelli, ormai abituati al ruolo di controllori.
Dopo la prima settimana comunque il rapporto con i nonni è migliorato. Il bimbo ha capito evidentemente che non sarebbe stato sequestrato e anzi, che avrebbe avuto un paio di persone in più a cui rubare baci e coccole.
In compagnia dei fratelli non ha trascorso molto tempo: erano spesso in acqua con la maschera oppure in barca con il nonno. Ma vederli insieme era sempre emozionante. Giocavano nel mare o sulla riva, facevano i versi dentro il boccaglio e Santiago li imitava ripetendoli pari pari, voleva anche lui indossare la maschera, rideva come un matto.
In casa c’era invece un altro problema: non era possibile farlo gattonare a piacimento. Sì, perché adesso gattona ovunque, si attacca ai mobili, è in grado di issarsi in piedi e probabilmente di tirarsi addosso anche gli oggetti ai quali si appende. E poi c’è quel fatto di cui parlavo prima, cioè il suo istinto innato di ingerire qualunque cosa trovi a terra, vespe, gechi, ami da pesca, ciabatte. Il risultato, oltre all’insana abitudine di stare sempre in braccio, è stato una epicondilite sinistra, sviluppatasi probabilmente a furia di lavargli il culetto tenendolo sospeso sull’avambraccio di sinistra e cercando nel frattempo di non fargli agguantare gli oggetti sulle mensole del bagno (creme, dentifrici, doposole, forbici, forcine, mollettoni, cotton fioc, sapone…).
Infine è stato difficile fargli capire che a tavola non si urla. Aveva preso questa abitudine, avendo lui già mangiato, di mettersi a gridare al nostro indirizzo per tutta la durata del pranzo o della cena. Fondamentalmente lui vuole che gli si dia qualcosa da mangiare. Ma attenzione, che sia rigorosamente qualcosa che noi stiamo mangiando! E quindi, addio raccomandazioni varie, addio tabelle alimentari (ma a 8 mesi può mangiare le nocciole? e il cioccolato? ma il gelato alla stracciatella va bene? quel pezzo di pane non sarà troppo grosso?).
In sostanza, gli ho dato tutto. Tranne i molluschi, i crostacei e il Martini bianco.
Al ritorno siamo sbarcati a Savona, tragitto più breve, bambini più bravi.
Tutto sommato me la sono cavata anche questa volta. E sono fiera di me.