11 novembre 2024

Come volevasi dimostrare il flagello infettivo si è abbattuto sulla famiglia intera, con l’eccezione di Fabio che probabilmente è immune da qualunque virus/batterio/fungo si aggiri tra le quattro mura domestiche. Pietro, Leo ed io siamo stati colpiti da raffreddore, mal di gola, tosse catarrale cavernosa. Pietro ha addirittura avuto la febbre ed entrambi, squassati dopo tre settimane di sofferenze, abbiamo dovuto ricorrere, dopo decenni, alla cura antibiotica (in casa nostra per fortuna dedicata solo ai casi disperati). Leo stranamente l’ha superata con una certa disinvoltura, salvo essere di nuovo dentro in questi giorni (raffreddore e moccio verdastro).

L’untore, Santiago Gabriele, ha tossito per tutto il primo mese di scuola. Terrorizzato dalla pratica del lavaggio nasale con la fialetta di fisiologica, ha scoperto dopo poco che in verità la cosa non solo gli piace, ma è diventata per lui una vera dipendenza, parte del rituale dell’addormentamento. 

“Fiioogica!” Dice, con fare professorale.

“Subito!” Replico. E vado a prendere la fialetta. Si corica di lato, sul letto, con un bavaglino pronto per asciugare i vari percolamenti nasali e, tra lo spaventato e l’eccitato, porge una narice. Ride quando la lavo, si mette subito seduto per soffiare nel fazzolettino e poi si volta sull’altro fianco. Valli a capire, i bambini!

Ricordavo i benefici effetti dello Sciroppo di Lumaca per la tosse infantile, ma poi mia suocera, evidentemente esasperata dal continuo scatarrare del pargolo, ha provveduto ad acquistare uno sciroppo via di mezzo tra il farmaco e il rimedio naturale, somministrabile anche ai bambini piccoli. E così, tra un lavaggio nasale serotino e un cucchiaio di sciroppo, Santiago è guarito. 

Che dire: l’asilo ha migliorato in parte i suoi comportamenti. Sicuramente è più ordinato a tavola, anche se siamo ben lungi dal riuscire a consumare un pasto dall’inizio alla fine seduti composti. Tende ad alzarsi oppure a mettersi in ginocchio sulla sedia. Smanaccia nei piatti altrui. Punta il dolce o la frutta prima del termine della portata. Su questo punto mi batto quotidianamente senza alcun supporto dai miei famigliari che, per pigrizia, mettono in tavola tutto assieme, per non doversi più alzare dopo. Ma è chiaro che, se Santiago intravede un mandarino dietro la bottiglia dell’acqua, riuscire a fargli mangiare il piatto di pasta che ha davanti diventa una impresa. 

Il ragazzo è autonomo, lo è sempre stato: su questo l’asilo al momento non mi sembra abbia dato il via a chissà quale svolta. Si alza, si veste, va in bagno, si pulisce da solo e si fa il bidet, a volte combinando qualche pasticcio. Talvolta la sera quando siamo seduti sul divano e lui chiede di mangiare, che ha fame (ma sono solo le 18.00 e allora gli dico che è presto), scende, apre il freezer, ne estrae una focaccina congelata, apre il microonde, la mette su un piattino e la scongela. Poi torna sul divano come se niente fosse, accende la TV e si mette un cartone. Lo sgrido, ma sono comunque ammirata dalla sua intraprendenza.

L’altra cosa che fa (e che mi terrorizza ogni volta) puntellandosi sul portabottiglie di fianco al bancone, è montare sul ripiano tenendo i piedini in 20 cm di spazio tra il microonde e il margine, aprire l’armadietto dei biscotti e scegliersi la merenda. Ogni volta che lo sorprendo là in cima vorrei urlare, ma ho paura di spaventarlo e di farlo cadere. Così solitamente mi avvicino silenziosamente e lo prendo in braccio per riportarlo giù. “Non si fa! E’ pericoloso! Non si fa!” Ma lui niente: con i suoi biscotti nelle mani (“Uno a destra e uno a sinistra!”) si fa un baffo delle mie raccomandazioni, sghignazza tutto contento e scappa via. 

Ecco, se devo dire in cosa è nettamente migliorato direi nel mettere a posto i giocattoli. Fin dal primo giorno di asilo i bambini vengono obbligati con la dovuta insistenza a sistemare quanto preso per giocare. E finalmente, pure a casa, anche se a volte chiede di essere aiutato, alla sera mette in ordine i suoi giocattoli. E’ colpa mia anche questo, se mi fermo a riflettere: da piccolo, per ottimizzare i tempi chiedevo a Pietro e Leo di sistemare mentre lo mettevo a letto e quindi non ha mai imparato a farlo. E se cercavo di obbligarlo, andava a finire che non lo faceva e sistemavo tutto da sola.

In effetti più penso ai suoi “difetti” e più mi metto in testa che la responsabilità sia solo mia.

Ricordo quando dormiva nella “next to me” accanto a me, appena nato. Amava tirarmi i capelli mentre ciucciava. Amava strapparmeli e metterseli in bocca quando era un pochino più grande, mentre in braccio gli cantavo la ninna nanna. E io ricordo distintamente che, invasa da un amore sconfinato quale non saprei descrivere a parole, una volta gli ho pure detto ad alta voce: “Fai quello che vuoi, ti amo così tanto che mi farei a pezzi per te!” E anche se è chiaro che il pargolo non può aver capito l’esatto significato di queste mie parole (al massimo avrà fatto una scoreggina per l’emozione) sicuramente ha colto l’antifona.

Cosa vi devo dire: siamo stati troppo lassi con le punizioni, i castighi, le regole. Ce l’ho messa tutta in verità. Ma credo che, rispetto agli altri figli avuti più di 10 anni fa, le variabili siano state due: gli altri figli e i 10 anni fa.

Mi spiego: è difficile mantenere l’ordine in casa, dare delle regole al piccolo, se poi queste regole vengono puntualmente disattese con l’esempio dagli altri membri della famiglia. Sistema i giochi, non giocare a palla in casa, non bere a canna, non picchiare i tuoi fratelli, non dire parolacce. E poi: Pietro e Leo che giocano a ping pong sul tavolo della cucina, che si accapigliano sul tappeto, che mangiano sul divano e lasciano i piatti sporchi in giro per la casa. E io che dico parolacce. E poi: siamo stanchi. Dieci anni di più si sentono. A volte arrivo a casa dal lavoro, faccio le lavatrici, sistemo la cucina, preparo le cose per l’asilo, metto a letto SG e quando finalmente mi sdraio (tutti gli altri nel frattempo si sono ritirati nelle proprie stanze) ecco che me lo ritrovo di fianco, ancora in piedi, e mi sento morire. 

La cosa più inaspettata e allo stesso tempo più tragica che ci ha regalato l’asilo è stata, infatti, lo slittamento significativo dell’orario della nanna serale. Pietro e Leo, quando iniziarono l’asilo, non riuscivano a stare svegli la sera: la testa cadeva loro nel piatto, da tanto sonno avevano, andavano quindi a letto alle 20.00 e si può dire che da quel momento in poi Fabio ed io siamo riusciti di nuovo ad avere un dopo-cena per noi.

Mi sarei aspettata una dinamica analoga. E invece no.

Ora, non so cosa somministrino ai bambini per dormire dopo pranzo a scuola? Camomilla? Midazolam? Fatto sta che pare che Santiago sia il primo bimbo ad addormentarsi e l’ultimo a svegliarsi. Ma, dico io, comunque l’orario di uscita parte dalle 15.45 quindi, nella peggiore delle ipotesi, dopo le 15.30 non può essere ancora addormentato! 

Allora com’è che a casa, da quando ha iniziato l’asilo, non riesco più a metterlo a letto prima delle 22.00? Com’è che a volte, alle 22.40, sono ancora là, in camera sua, a supplicarlo di dormire, dopo la storia, i 20 libri, i grattini, le ninna nanne in piedi e quelle sedute?

“Io no sonno!” Dice.

“Ma come cavolo fai a non averne!!!” Sbraito io!

Talvolta sono così stanca che gli urlo di arrangiarsi, e me ne vado a letto. In certe sere funziona. Magari piange e chiama “mamma” per un po’. Poi lo senti trafficare con oggetti in cameretta, giochi, libri, non importa, lo scoprirò il giorno dopo quando troverò la stanza messa a soqquadro. Infine si addormenta da solo. Qualche volta tenta un ultimo, timido approccio al lettone. Si avvicina bordo letto e ci guarda, sua madre e suo padre, già sotto le coperte.

“Vattene! Fila subito nel tuo lettino!”

“Vabbéne! Buodadotte!” E se ne va

Praticamente ci mette a letto lui.

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