24 giugno 2011

Quante cose sono successe da quel 26 maggio! Non so più da dove partire.

Per quanto riguarda il secondogenito… ho già fatto altre due eco, come sapete. Alla prima delle due eco, andata bene e durante la quale io cerco di rilassarmi anche se non riesco a non guardare quel corpicino con un occhio clinico volto a cogliere la benché minima anomalia, subito dopo aver guardato gli emisferi cerebrali, inaspettatamente la ginecologa fa: “Avevamo detto maschio o femmina?” E io, che volevo dire qualcosa tipo: “Non avevamo detto niente, l’hai visto tu e ti abbiamo detto di non dircelo anche se ci sembrava di aver capito maschio” invece esordisco con: “Ma sììììì, dai che l’avevi visto tu…”

Non faccio in tempo a finire la frase che lei fa: “Ah, è vero, MASCHIO!” E poi si tappa immediatamente la bocca, a indicare che quello che ha appena detto è stato frutto di una distrazione. Io e Fabio impietriti ci guardiamo. Io dico: “Non ti preoccupare, dai tanto lo sapevamo, no?” Usciamo dall’ospedale e ci diciamo, oh cavolo, è veramente un altro pisello! Io alla fine son contenta di averlo saputo: non ci saranno sorprese alla nascita, nemmeno per un secondo. Piuttosto, potrò godermi lo shopping pre-parto, cosa che con Pietro non avevo potuto fare. Fabio, benché contento della notizia (lui voleva proprio un maschio) mi domanda però come sia possibile che una come la nostra ginecologa, di solito molto attenta (e aveva mantenuto il segreto per tutta la gravidanza di Pietro), si sia “dimenticata” che non doveva dircelo. Mi dice che è quasi offeso perché vuol dire che non ti ricordi una cosa così importante, anche se hai di fronte degli amici. E insomma, io gli dico, ma va, ma poi mi entra questa pulce nell’orecchio.

Dopo di che io penso che potremo dire alle famiglie, in occasione del compleanno di Pietro, che il “Tellino” (come lo chiama Pietro al posto di “fratellino”) è veramente un maschio. Non faccio in tempo ad arrivare a casa che scopro che Fabio l’ha già detto a sua mamma (eravamo su macchine separate). E io dico, oh pirla, ma non ti andava di condividerlo con me? La sera poi, avevamo gente a cena (la solita Francesca e il nostro amico che fa il medico in Africa che era rientrato qualche giorno per motivi di salute). Insomma io quella sera famosa del temporale allucinante ho voluto a tutti i costi andare a salutare una mia collega che partiva per tornare a lavorare al sud e con Pietro (a causa di un suo attacco di mammite nel momento in cui ho messo le scarpe per uscire e a causa del fatto che Fabio, cucinando, non si cagava il bambino urlante) mi sono recata sotto la bufera in un locale vicino all’università per un aperitivo. A parte che Pietro s’è masarato d’acqua nel tragitto macchina-locale, mi ha fatto piacere portarlo, dimostrando a me stessa che in realtà non è che siccome ho un bimbo piccolo, non posso uscire da sola (cosa che però in effetti non avevo mai fatto!). Torno a casa tutta contenta e vedo i miei ospiti già accomodati al tavolo. Parliamo del più e del meno. E io non vedo l’ora che arrivi il momento del dolce, per comunicare che il nostro bimbo è un maschietto. E per tutta la cena ammicco a Fabio e sussurro cose tipo: “Adesso?” Finalmente il momento viene e io dico: “Dobbiamo annunciarvi una cosa…” Non finisco la frase che Francesca fa: “Ma veramente Fabio ci ha già detto che il bambino è un maschio!” Insomma, veramente, mi son proprio incazzata. Perché se non gli avessi detto che mi era dispiaciuto non condividere la notizia con lui e con sua madre, vabbeh, ma sei pure recidivo! E coi nostri migliori amici!

Insomma… chiamo mia mamma e le dico che l’eco è andata bene. E poi aggiungo: “E poi… beh, è un altro maschio!!!” E mia mamma: “Ah, ma io lo sapevo già!” E io: “Sì, beh, dai lo avevamo intuito un po’ tutti…” E lei: “No, io lo sapevo già perché ho chiamato la tua ginecologa!” Io basita: “Ma chi ti ha dato il numero?!?” “Tu!” Ed era vero. Nel lontano 2009, quando ero incinta di Pietro che mia mamma mi aveva detto che non era sicura di resistere senza sapere il sesso e io le avevo detto che avrebbe potuto chiamare la mia gine a patto che non me lo dicesse. E lei alla fine aveva resistito. Ma stavolta no. Ma la cosa ancor più grave è che al telefono le ha chiesto in primo luogo se “davvero il bambino stava bene”. E la mia gine l’aveva rassicurata. Però, metti caso che non fosse stato così e io non avessi voluto che mia mamma sapesse che il bambino era malato, la mia ginecologa avrebbe dovuto mentire o comunque si sarebbe trovata in forte imbarazzo. Al che mia mamma dopo le ha chiesto il sesso. E solo lì la mia gine ha detto che non poteva dirglielo senza il mio permesso. E mia mamma (sempre più sfacciata): “Ma io il permesso ce l’ho! Se no come farei ad avere il suo numero?” Il ragionamento non faceva una piega (anche perché in realtà a pensarci bene mi ricordo che anche in questa gravidanza le avevo detto che se voleva, poteva chiamare per il sesso, ma son quelle cose che, come dice Fabio, si dicono per assurdo). Pare che la ginecologa abbia concluso dicendo che comunque anche durante l’eco precedente aveva più o meno fatto capire che era maschio di modo che noi fossimo un po’ preparati all’evento visto che aveva colto che io ero emozionata per un’eventuale bimba. Fatto sta che quando l’ho detto a Fabio lui si è incazzato molto: “Lo sapevo! Lei ce l’ha detto non perché le è sfuggito! Lei ce l’ha detto perché, temendo che tua madre si tradisse, non si sarebbe perdonata la cosa di aver tradito il segreto e quindi ha pensato bene di fingere di dimenticarsi e così ce l’ha detto! Cosa c’entrava infatti? Stava guardando il cervello, mica il pisello!” Io credo che la cosa non fosse così premeditata. Credo che fosse lì sulla punta della lingua e che non vedesse l’ora che noi le chiedessimo di dircelo. E che quando io ho iniziato la frase con: “Ma sì…” lei ha frainteso, capendo che poteva parlare. A mia mamma poi ho detto: “Ma se poi ti fosse sfuggito?” E lei: “Hai visto come sono stata brava? Non te l’ho mica fatto capire!” Peccato che fossero passate solo due settimane da quando lo aveva scoperto (avrei voluto vedere tutta la gravidanza!).

La puntata successiva era stata fissata circa tre settimane dopo. Nel frattempo la mia gine avrebbe dovuto informarsi con la sua collega che si occupa del protocollo del CMV sulle possibilità profilattiche della terapia con immunoglobuline. Rimanda, rimanda, rimanda, alla fine, quando mi ricevono al colloquio un mercoledì mattina alle 8.00, mi viene detto che sì, il protocollo c’era, era sperimentale e coinvolgeva Pavia, Bergamo e Monza e prevedeva la somministrazione delle immunoglobuline allo scopo di ridurre le probabilità di trasmissione madre-feto. Ed era il primo protocollo randomizzato fatto con questo scopo. Però il protocollo era chiuso, perché avevano già i numeri che servivano. Il punto è che, nonostante il protocollo fosse chiuso, mi avrebbero fatto lo stesso le immunoglobuline, anche senza fare amniocentesi o funicolocentesi. Peccato che erano già passate “le cinque settimane” dall’infezione, cinque settimane in cui, secondo loro, avrebbe avuto senso fare le immunoglobuline perché dopo, per quanto riguardava la trasmissione, oramai, se doveva passare al feto, era già passato. Io ci rimango proprio di merda. Cioè, non capita mica tutti i giorni di avere il “culo” che ho avuto io di beccare l’esatta settimana in cui mi si sono positivizzate le IgM e di beccare esattamente la sieroconversione con la produzione di IgG. Praticamente da quando l’ho saputo sono passate circa tre settimane. E tu non ti informi sul rischio che superato un certo tempo non si possa fare più terapia??? Io per i miei pazienti dializzati, con cui non ho un rapporto affettivo particolare, se non in alcuni casi, cerco di risolvere qualunque problematica, anche in giornata. Corro di qua, di là, prenoto esami in radiologia, mi informo… Insomma, sei amica e collega, sai che ho avuto anche una serie di sfighe, ma dovevi proprio far passare le tre settimane utili? Insomma… Chiedo se almeno ha senso fare le immunoglobuline per limitare i danni qualora la trasmissione sia avvenuta. E mi dicono che i vari studi non hanno mai dimostrato un’efficacia in termini di riduzione di danno fetale in donne che hanno fatto immunoglobuline a questo scopo, anche se gli studi in questione non sono stati fatti con tutti i crismi. Alla fine mi dicono che il protocollo attuale di Monza prevede sorveglianza ecografica ogni due settimane. Qualora si vedano anomalie, è indicata l’amniocentesi perché comunque non è detto che le suddette anomalie siano per forza causate da CMV e bisogna escludere altre cause. Se amniocentesi positiva, allora è previsto il prelievo di sangue fetale da funicolo, per vedere carica virale eventuale e “decidere cosa fare”. Io dico: “In che senso?” E interviene la mia ginecologa, dicendo che tanto io non interromperei mai la gravidanza. E lì per lì ho ripensato ai vostri commenti e ho detto: “Beh, credo di no, poi bisognerebbe trovarsi nella situazione..” E mi è venuto giù un magone che non vi dico. Ho fatto proprio fatica a non piangere. Anche perché era un bel po’ di giorni che non pensavo più male e mi ero tranquillizzata. Mentre quest’altra ginecologa, con la quale tra l’altro mi ero già trovata a che fare per lavoro e che mi stava parecchio antipatica in quanto avevamo avuto anche qualche attrito, è stata proprio brava, chiara e precisa ma allo stesso tempo mi ha rispiegato tutti i rischi e le probabilità del caso. Proprio in quella, per altro, ha aggiunto: “Insomma, anche se a Pavia hanno descritto dei casi, a me non è mai capitato in carriera di avere eco normale e poi gravi danni al parto” E lì, la mia gine interviene e fa: “Eh, il problema è che chi fa l’eco sono io! Dunque… cos’è che devo escludere? Calcificazioni cerebrali, ventricolomegalia e poi? Epato… qualcosa….” Sull’ “epato…qualcosa” io vi giuro mi stavo mettendo a piangere. Ho detto: “Ma per me non c’è nessun problema a farmi seguire da entrambe!” Leggi: se non ti senti in grado di fare l’eco, perché non sei specializzata in questo tipo di malattia, cazzo, molla il colpo! E lei: “No, beh, facciamo così: io faccio l’eco, se poi ho dei dubbi chiamo lei!” E no, cazzo! Perché se poi il dubbio non ti viene… io cosa faccio? Alla fine sono venuta via con un appuntamento per due settimane dopo con la rassicurazione che comunque, se dopo la 23esima settimana non ci fossero state cose grosse, si poteva dire che le probabilità ormai erano basse. Ma quello che mi è più dispiaciuto è che la mia gine, in queste tre settimane, non si era nemmeno per dire informata su quali fossero i criteri ecografici di danno fetale. Oppure che come me si fosse stupita di scoprire che l’esame sul sangue del bambino una volta nato avrebbe evidenziato gli anticorpi IgM (che io pensavo che producesse anche in pancia e che poi scomparissero, come succede a noi). Insomma, se io ho un paziente con una malattia strana o rara, me la studio. Figurati un amico!

Racconto queste cose ai miei colleghi che mi suggeriscono di andare a fare delle ecografie in qualche centro specializzato perché (come mi ha detto la mia amica che ha scoperto alla nascita che la gemellina aveva i piedini torti e ha detto che le è crollato il mondo addosso): “E’ sempre meglio sapere e potersi preparare psicologicamente”. Il problema è che questo mi costerebbe sia in termini di amicizia con la mia ginecologa che in termini di comodità (ho già visto com’è andare lontano da casa a fare qualcosa, da tutti i punti di vista!). Inoltre, psicologicamente ci sono già preparata, o meglio, so che esiste questa possibilità. Poi ho parlato con Fabio, che mi ha detto che resta anche il fatto che se trovi qualcosa… poi cosa fai? Niente. Insomma, abbiamo deciso di fidarci.

Anche perchè io della mia gine ho grande stima. Lei è proprio una che fa bene le ecografie. Per cui non so perché abbia fatto quella scenetta da falsa modesta: le eco successive, come vi ho detto, sono andate tutte benissimo. Lei mi ha spiegato tutte le strutture e non mi ha dato motivo alcuno di dubitare della sua sicurezza. Mah. Fatto sta che oggi ho fatto l’ennesimo controllo: tutto a posto, il bimbo è bello visto proprio in viso. Si muoveva molto. Abbiamo portato anche Pietro, ma non ha colto esattamente che il “Tellino in televisione” fosse proprio il suo…

Ora sono a 21+3 e vi devo dire che è proprio bello sentirlo muovere! Anche perché si muove tantissimo, fa impressione. Fermo restando che temo di farlo grosso visto anche il problema delle glicemie. Tra parentesi l’altro giorno ho rifatto la glicemia prima di pranzo (era 90) e dopo pranzo (era 89). Mistero della fede. Non mi ricordo più se lo sentivo così tanto già a metà gravidanza (è da circa la 19esima che lo sento, ma all’inizio dicevo, no, non è lui!). Ho preso circa 3 Kg dall’inizio anche se la pancia ora a me sembra di una al settimo mese. Il problema è che tutte queste “ansie” mi hanno un po’ distorto il piacere di sentirlo muovere. Non so se riuscirò a spiegarmi come vorrei: intendo dire che, mentre con Pietro mettevo la mano sulla pancia, lo sentivo muovere e non pensavo ad altro che alla magia della vita, al miracolo che si stava compiendo, a come sarebbe stato il mio bambino una volta nato etc, questa volta c’è un fondo di diffidenza, anche nei confronti del bambino, come a dire: “Uè, tu, là dentro, non farmi brutti scherzi!” E questa cosa mi fa soffrire. Anche perché è già passata metà gravidanza e non so se ce ne saranno altre nella mia vita ed ero partita tutta contenta e decisa a godermela e invece mi trovo ad accorgermi che mi sta sfuggendo di mano e soprattutto che in certi momenti vorrei finisse subito, così posso vedere se va tutto bene. Da qui, un primo motivo, credo della depressione che mi ha preso in questo periodo (di cui forse vi parlerò e forse no), finalmente cioè da quanto le cose si sono un po’ assestate e ho avuto modo di fermarmi a riflettere un po’.

Per quanto riguarda Pietro, invece, anche lì le cose vanno bene, ma come al solito non bene come si vorrebbe. Abbiamo cambiato pediatra, più che altro per insistenza di Fabio, che ha ritenuto “inaccettabile” il comportamento del mio pediatra, non tanto sulla mancata diagnosi (anche perché non ho trovato un pediatra d’accordo con un altro in tutta questa vicenda), quanto per come si è comportato dopo, nel non essersi più fatto sentire. Per quanto riguarda me, mi aggradava più che altro l’idea di avere un pediatra vicino, che non dovessi attraversare tutta Monza per portarci il bimbo con 40°C di febbre o magari l’altro che necessitasse, sperando di no, di cure particolari o frequenti. Purtroppo il pediatra che mi hanno consigliato era (ovviamente) tutto pieno. Per cui ho ripiegato sull’unico libero e dal mio lato di Monza. Trattasi di una dottoressa, ex ospedaliera, nuova pediatra di base. Alla ASL hanno visto la mia titubanza e mi han detto: “Tranquilla, è brava!”. Lo studio non è consociato. C’erano decine di cartelli con scritto “il cestino è lì”, “mettere in ordine i giochi”, “i passeggini qui” etc. Già non mi piaceva, sembrava di entrare in galera. Lei ci ha accolti vestita di verde (come i chirurghi o me in questo periodo che fa caldo in ospedale) e mi è sembrato stranissimo. Per fortuna appena ha visto Fabio l’ha riconosciuto in quanto aveva partecipato ad un congresso in cui stranamente lui aveva tenuto una relazione per cui l’inizio è stato buono. Abbiamo raccontato tutta la storia e abbiamo cercato sue reazioni o ipotesi diagnostiche in itinere. Ma non si è sbilanciata. La faccia però che ha fatto quando abbiamo detto “Kawasaki” era impagabile. Era chiaro che è rimasta molto scettica. Ha visitato Pietro e lui è stato bravo e sorridente. Lei pure e mi è piaciuto (il mio pediatra era un ghiacciolo in confronto). Poi ha detto che Pietro aveva un soffietto. Ok, i soffi innocenti ce li hanno tutti, ma né io né mio papà che fa il cardiologo e si è occupato di soffi per i primi dieci anni della sua attività professionale, avevamo mai sentito un soffio a Pietro. E nemmeno in De Marchi. E nemmeno l’eco faceva vedere rigurgiti valvolari. Per cui mi sono presa un po’ male. Ho pensato che lo inventasse un po’ per far colpo “Ha un soffietto, vero?” E io…”Veramente no!” Poi mi dico ecco, l’unica altra possibilità è che abbia avuto una complicanza al cuore, o una febbre reumatica post-streptococcica o un esordio cardiaco di una qualche malattia reumatologica (che alla fine era l’unica altra diagnosi differenziale). Alla fine le lascio tutti gli incartamenti di Pietro con tutte le visite da quando è nato, compresa la lettera di dimissione dall’ospedale in modo che si faccia la sua bella anamnesi e lo inserisca nel suo computer. Anche lì, questa non s’è fatta più sentire. Il giorno prima di andare in De Marchi la chiamo per dirle che devo ritirare la documentazione e lei era in ferie e c’era la sostituta che mi dice che non ne sa niente. Vado in studio e trovo la cartelletta di Pietro là sulla scrivania, ma la mia dottoressa non ha lasciato niente detto alla sostituta. Vabbeh.

L’ecografia del cuore s’è riconfermata nella norma. Ho detto alla cardiologa che la mia pediatra sentiva un soffio e lei mi ha confermato, dicendo appunto che è innocente. Vabbeh, nel momento in cui l’eco è normale, non me ne frega un cavolo.

Venuti via dal ricovero avevamo fatto per i fatti nostri degli esami di controllo a Pietro. Le piastrine, che avevano raggiunto un valore massimo di quasi un milione, se vi ricordate, erano scese appena sotto ai limiti superiori, intorno alle 450000. Era ancora anemico e la VES era ancora 20. Ma ero contenta perché mi son detta, se son così ora, quando faremo il controllo in De Marchi sarà tutto normale. Invece ho saputo che, mentre l’emoglobina sta salendo (siamo a 10.3!) le piastrine sono 470000. Ok, i laboratori sono diversi per cui una minima differenza ci sta. Ma se proprio non sono aumentate… diciamo che non sono nemmeno diminuite! La VES mi hanno detto che è normale. In più ho visto finalmente gli esami completi che Pietro ha fatto durante il ricovero e ho notato che aveva un’inversione CD4/CD8 (non sto a spiegare) e che uno dei virus (il Coxackie) in realtà non era francamente negativo, ma dava risultato dubbio (ai miei pazienti lo avrei fatto ricontrollare a distanza di quindici giorni!). Il rapporto CD4/CD8 me lo rifanno la prossima volta. Per il virus mi sono accorta a casa e mi scoccia chiamare per dire cosa devono fare. Però la sensazione è sempre quella di non potersi mai fidare del tutto. E soprattutto, ora che Pietro, non so se ve l’avevo detto, ma patisce l’Aspirinetta, nel senso che ha rigurgiti ed eruttazioni e ogni tanto vomita che so il panino o la focaccia prima di cena, l’idea di proseguire per almeno altri due mesi mi angoscia (gli accordi erano Aspirinetta almeno fino a due mesi dopo che gli esami ematici fossero tornati nella norma). E il problema del vomito è insorto quando ero a Vicenza ad un congresso o meglio, dopo i primi sporadici episodi, abbiamo realizzato che non era probabilmente un caso. E ho chiamato sul cellulare la famosa Professoressa che, dopo avermi detto che è la prima volta in vita sua che le capita di avere un bimbo che non tollera 50 mg di aspirinetta (evvai!), mi consiglia il Ranidil sciroppo. Il quale non è indicato sotto i 3 anni, ma pazienza. Il problema è che contiene alcol e sa di menta. Praticamente è come farsi un bicchierino di assenzio (siete mai stati a Praga?). Quando ho detto che lo tollerava male (eufemismo, praticamente se lo tocca con la lingua lo sputa!) mi ha detto di provare con Gaviscon (ma mi hanno detto che fa più schifo ancora per cui non l’ho comprato) e se non funziona, con Pariet (insomma, quello che si dà agli adulti per curare la gastrite e l’ulcera). Negli ultimi giorni siamo riusciti a ottenere qualche risultato insistendo con il Ranidil. Mia suocera dice che Pietro è un bambino “ragionevole” e in effetti (dopo aver assistito a scene da Telefono Azzurro con Fabio che costringeva Pietro sul pavimento del bagno) l’unico modo che a volte funziona è dirgli di prendere la medicina perché “fa passare il rigurgito”. Che poi mi fa morire! Perché ti accorgi quando ha il rigurgito perché si spaventa e poi piagnucola e comincia a dire che brucia brucia e deglutisce a manetta. E poi se gli chiedi: “E’ passato?” Lui fa un respirone e dice: “Sci, pattato!” Lo adoro.

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