Il terzo Natale di Santiago è volato in un soffio. Al mattino mi sono persa l’attimo in cui ha svoltato l’angolo per entrare in sala e quindi il momento della scoperta dei doni sotto l’albero: per una volta, ero ancora a letto e mio marito è andato a svegliarlo. Ovviamente solo il giorno di Natale poteva stare ancora dormendo alle 8.00! Come sempre l’emozione è stata tanta, sua e nostra. Come sempre gran casino, Frank Sinatra che canta brani natalizi e carte dappertutto. “Quetto è mio, mamma???” Un gran disordine ovunque. La colazione in piedi, la corsa per andare a messa. Al ritorno, la cernita dei giochi in scatola da portare al pranzo con i parenti e poi tutti fuori casa di nuovo.
Come negli ultimi anni abbiamo affittato una sala multifunzionale perché le famiglie si sono allargate parecchio e a casa non ci si sta più. Ciascuno porta qualcosa, si mangia, si beve e si gioca. Confesso che con il passare del tempo, sarò invecchiata io, non è più la stessa cosa. Le ore passano rapide, il tempo di finire il panettone e già è ora di tornare a casa. Sono le 18.00 ma mi sembra passato così poco! Quando ero giovane questi pranzi parevano eterni: giocavamo agli indovinelli, cantavamo canzoni, facevamo imitazioni. Ora mi sembra tutto finto, il simulacro di quel che fu. Ma poi guardo i ragazzi con i cugini grandi, Santiago e il cuginetto più piccolo di lui e mi accorgo che fa parte del gioco della vita: loro tornano a casa entusiasti, gratificati e sereni. E questo è quello che conta.