Siamo sopravvissuti all’inserimento. O così pare.
Ho preso ferie, ne avevo in avanzo ancora dall’anno scorso: pensavo che mi sarei goduta questo passaggio obbligato, almeno con il terzo figlio. Quando era toccato ai primi due avevo delegato alla babysitter: ero una giovane specializzanda e non pensavo di potermi permettere il lusso di accompagnare i miei figli a scuola. A distanza di tanti anni, come al solito, si rivedono le proprie scelte sotto una luce diversa.
Il primo ed il secondo giorno, in verità, non si è trattato di un inserimento. All’asilo ci siamo rimasti insieme, due ore e mezza, dalle 9.00 alle 11.30. Santiago è entrato entusiasta, si è lanciato subito sui giochi disposti ai vari angoli del salone. Si è impossessato immediatamente della cucina e ha trascorso mezz’ora a cucinare per me. Quando la maestra ha chiamato, ci siamo trasferiti nella nostra classe. C’erano solo i bambini “piccoli” come lui, mi è spiaciuto che non siano state fatte delle presentazioni formali, ma poi ho pensato che fosse meglio così, che socializzassero poco a poco con il passare dei giorni e si conoscessero tra loro spontaneamente. C’è stata la pausa bagno, con la pipì nel water e il lavaggio delle manine. Quindi la merenda. Poi il gioco in classe, poi ancora il gioco nel salone.
Lo guardavo, lo tenevo d’occhio, diciamo. Temevo qualche gesto inconsulto, qualche monelleria, qualche violenza fisica. Invece no. Confesso che allo scadere dell’ultima mezzora ne avevo le tasche piene. Ammiro molto chi lavora con i bambini: io non so se avrei la pazienza necessaria. O meglio: so che non l’avrei. Il frastuono infernale, le urla, i pianti, le risate. E tutto quel baccano provocato solo da un terzo della popolazione abituale dell’asilo!
Quando siamo usciti gli ho chiesto che impressioni avesse avuto.
“Beeeeello asilo!” Mi ha risposto
“Sei stato bravo!” Gli ho detto
“Sì: non ho morso nessuno!”
E così si è concluso il primo giorno.