17 agosto 2024

Siamo sopravvissuti tutti alle ferie, nonni compresi. Durante la nostra assenza pare che Santiago al mare si sia comportato discretamente bene. Mangiando come un lupetto, nuotando come un pesciolino, addentando solo un paio di bambini al giorno. Come previsto, lo scoglio più difficile da superare è stato quello della condivisione dei giocattoli. Quando però ha fatto amicizia con una bimba di qualche anno più grande, che mia suocera ha definito “dagli atteggiamenti molto materni”, sembra che Santiago abbia trovato il suo equilibrio, imparando a stare al suo posto al momento opportuno e a divertirsi in maniera sana.

Rientrato dalla vacanza non gli ho più lasciato il telefono in mano, nemmeno quando avrebbe potuto tornarmi utile. Ho cavalcato l’onda del distacco obbligato dallo strumento e, sebbene sia stata la prima cosa che mi ha chiesto vedendomi, se ne è fatto una ragione. Al momento gli è consentito sfogliare gli album fotografici insieme a me. Mentre i cartoni glieli faccio guardare in TV, magari prima di cena, perché quel che è giusto è giusto e uno deve anche poter sopravvivere. E poi i cartoni li abbiamo sempre visti tutti e, salvo rari casi, nessuno è rimasto permanentemente menomato. 

Negli ultimi quindici giorni mi sembra veramente cresciuto, di botto ha cominciato a parlare. Finalmente quel senso di estraneità che mi invadeva tutte le volte che mi rivolgevo a lui e non ottenevo riscontri verbali sta progressivamente svanendo, lasciando il posto a sentimenti di orgoglio e tenerezza che mi colmano il cuore consegnandomi talvolta la sensazione di avere appena ricevuto una tiepida carezza o di aver bevuto una calda tisana rilassante. E’ difficile da spiegare, anche perché non è che il pargolo reciti la Divina Commedia. Sono solo espressioni semplici, spesso scorrette o sgrammaticate, ma sono le sue.

“Va bbéne!”

“Allivooo!”

“Io sete!”

“Dove tei?”

“Dove orso mio? No, quello! Quello gande!”

“Mmm, ca bono!”

“Blah, ca pussa!”

E poi gli innumerevoli: “E pecchè???” con mille punti di domanda a seguire.

Ma soprattutto io che gli parlo usando frasi lunghissime, dai vocaboli non semplificati, chiedendogli di fare cose o di prendere oggetti o spiegandogli il perché di quel no o di quel sì o di quel fenomeno a cui stiamo assistendo. E lui che ascolta e commenta, nel suo modo semplice ma diretto, che cambia stanza e va a prendere quel che ho chiesto, che critica i miei no e gioisce ai miei sì.

Sono emozioni impagabili, alle quali poi ci si abitua e che spesso ci si dimentica.

Manca poco all’inizio dell’asilo, devo ancora prendere il corredino. Ci hanno spiegato che se il bambino ancora non ha tolto il pannolino si potrà fare poi. Ma a questo punto abbiamo deciso di stare tutti i giorni senza, tranne durante la nanna. 

Non sempre l’accetta: non gli piace l’idea di avere le mutande, ma inspiegabilmente, non si oppone se suo padre lo porta fuori solo con indosso i calzoncini. E’ vero che, nel caso se la facesse addosso, avrei un capo in meno da lavare, però diciamo che il doppio strato mutanda-pantaloncino potrebbe aiutare ad assorbire il tutto evitando l’effetto pozzanghera, specie se si è in giro. Di fatto però ad oggi non ha mai fatto disastri. Sì, gli piace sfoderare il pisello in luoghi non sempre consoni, dal centro commerciale all’androne condominiale, ma finora siamo riusciti ancora a trattenerlo fino a raggiungere un bagno. O un prato. O un albero.

Come l’altra sera, quando siamo andati fuori con amici per una sagra di paese e lui ha autonomamente lasciato il tavolo per andare al campo di grano a far pipì una, due, tre volte, tornando poi tutto tronfio a segnalare il nobile atto ai parcheggiatori, ai carabinieri e alle cameriere. “Io pipì!” E come dargli torto?

Abbiamo smontato il lettino e ora Santiago dorme nel letto singolo, quello dove una notte avevo messo mio cognato e pertanto soprannominato “il letto dello zio”. Forse anche per questo inizialmente non ha preso la novità molto seriamente. Ho comprato una spondina, per evitare che cada. Le prime notti, appena messo giù, scendeva e si presentava in soggiorno adducendo motivazioni varie (solito ciclo di saluti, ultimo bacio, un bicchier d’acqua, la pipì, il letto dello zio). Al che ho pensato che forse avrei dovuto cominciare un rituale della buonanotte, di quelli che con lui non sono mai serviti (lo mettevi nel lettino, al massimo una ninna nanna e via), di quelli che un po’ mi dispiaceva non avere. E così mi metto vicina con una sedia (perché “la mamma ha mal di schiena”) e gli leggo i libri. Sorpresa: finalmente me lo lascia fare senza girare le pagine prima del tempo, senza strapparmeli di mano, senza disintegrarli. Spesso poi mi sdraio accanto a lui e gli canto le ninne nanne. Difficile che si addormenti così, però. Ad un certo punto vado via e lui urla che mi vuole. Talvolta allora va papà, che non si capisce bene cosa gli dica, ma dopo qualche minuto torna, da solo. E il bambino dorme.

Nel cuore della notte però eccolo zampettare in camera nostra, salire sul lettone e mettersi al centro. Non sta fermo, si rotola in mille posizioni, sferra calci e pugni, a volte durante qualche sogno movimentato a volte solo per sfizio. Una volta mi ha mollato un dritto sulla mandibola e mi ha fatto schioccare i denti. Una volta mi ha tirato una ginocchiata in pancia che mi ha tolto il fiato. Quando sogna urla, litiga per un giocattolo, si arrabbia per una punizione. Se ne ho le forze, lo prendo e lo porto in camera sua, anche se questo spesso significa poi dovermi sdraiare accanto e aspettare che si riaddormenti, magari non prima che lui abbia fatto l’ultima pipì nel water (o nel bidet) e abbia bevuto l’ultimo bicchier d’acqua (“Uno, e poi batta”).

A volte invece me lo tengo nel lettone: non ho mai avuto bambini nel lettone, non ci sono mai voluti restare, nemmeno la domenica, quando sperando di dormire di più, prendevamo Pietro e ce lo mettevamo dentro, pregandolo di dormire ancora un po’, con mamma e papà.

La verità è che mi piace sentire il suo corpicino caldo accanto, il suo respiro calmo e tranquillo quando finalmente crolla. Ma soprattutto la sua manina, che nel buio cerca la mia e la stringe. O la bacia. E il suo braccio paffuto e morbido che mi cinge il collo.

Non dormo, perché non sono una di quelle persone che riescono a dormire anche nel caos, ma sto lì e me la godo, con gli occhi lucidi.

Perché so che questa tenerezza infinita, un giorno non molto lontano, mi mancherà.

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.