Lo amo alla follia. Ciccione, le guance morbide, l‘occhietto un po’ strabico. Cresce a dismisura, mangia come un pozzo senza fondo. Ha imparato a chiamare per nome il cane, a modo suo ovviamente, ma riuscendo a farsi capire perfettamente. Quando usciamo vuole assolutamente tenere il guinzaglio, non importa se stiamo passeggiando o se lui si trovi sul passeggino: il cane lo deve portare lui. Gliene combina di tutti i colori, gli strappa i baffi e gli tira la coda e subito dopo si copre la testa con entrambe le mani, a proteggersi dall’eventuale reazione della povera bestia.
Ho istituito “l‘angolino della punizione” per questo genere di misfatti. Ricordavo che con Pietro, vista la totale inutilità degli scapaccioni, “l‘angolino della punizione” aveva sortito qualche risultato. Ce lo mettevo, la faccia a fissare il muro, e gli intimavo di non muoversi fino a che non l‘avessi deciso io. Non so bene perché, ma ricordo che Pietro, dopo qualche minuto di penitenza, veniva a chiedere scusa: sembrava capire che essere messo ne “l’angolino della punizione” significava averla combinata grossa.