Santiago fa le prove di gattonamento. O, come dice Pietro, twerka. Si tira sulle manine puntando le ginocchia e comincia a sculettare. Ogni tanto punta anche i piedini e si mette a fare il ponte. Non coordina movimenti appropriati per spostarsi ma, chissà com’è, lo lasci in un posto e lo trovi in un altro. Ormai il suo telino igienico poggiato a terra è un patetico tentativo di preservarlo dal contatto con il suolo. Lo poggi lì, ti giri e lo ritrovi con in bocca le frange del tappeto, oppure a leccare le piastrelle del soggiorno. Lo metti seduto e lo trovi a pancia in giù in oscillante equilibrio sulla pancia, le braccia e le gambe stese e sollevate. Poco dopo, solitamente, rigurgita.
A tal proposito, è capitato ancora che, messo nel lettino dopo la cena, dato il biberon della buonanotte a distanza di almeno un paio d’ore, mi rifacesse lo scherzo del colpetto di tosse e del vomito a getto con rischio di auto soffocamento, che adesso è diventato la mia paranoia. Ho sempre paura che vomiti nel lettino e che io non lo senta. Le volte che è accaduto ero lì presente, l’ho girato sul fianco, mi sono assicurata che respirasse e poi, ovviamente, l’ho tirato fuori e lavato da testa a piedi. Ma se accadesse nel cuore della notte?
Il biberon della buonanotte è dunque scomparso. Questo ha comportato l’abolizione dell’auto-addormentamento nel lettino. E quindi siamo tornati all’addormentamento in braccio con ciuccio. Ci mette veramente poco, ma temo che se dovesse addormentarlo qualcun altro, potrebbe non farcela. Ciò che lo fa cadere in uno stato di relax totale favorente il sonno è titillarmi i capelli. Li prende tra le dita, li accarezza, li tira, li strappa e, dopo due minuti, dorme. Io tra poco rimango calva però questa cosa mi fa tenerezza e lo trovo anche un gesto molto intimo.
Soprattutto da quando non prende più la tetta. Non so dire quando sia successo esattamente, forse una decina di giorni fa. Una mattina non ho fatto in tempo a dargliela per colazione. E così anche il giorno dopo. Quando poi ho provato a dargliela per farlo addormentare, una volta l’ha presa e dopo due ciucciate ha chiuso gli occhi (evidentemente è stata una coccola somministrata in un momento in cui era molto stanco), mentre una volta l’ha sputazzata inarcandosi tutto per guardare il cane o la luce proveniente dal corridoio, insomma, disinteressandosi all’articolo. Questo all’inizio mi ha lasciato indifferente. Mi sono detta: “Gliela darò domani!” Ma quando ho constatato che la solfa non cambiava, ho avvertito una punta di dolore: ecco, ci risiamo, fine dell’allattamento, fine di un’era. Che poi di latte ne esce ancora, a strizzare. Schizza fino al televisore, a dirla tutta. E se anche non la volesse più usare per cibarsi, speravo in un momento coccola. Anche perché parlando con altre donne che dicono che hanno allattato fino a un anno, fino a due anni etc, chiedevo loro come facessero a produrre latte se il bambino si attaccava una volta sola al giorno. E loro mi confermavano che in effetti era più una coccola che un atto di nutrimento (anche perché, tra parentesi, Santiago Gabriele è un’ottima forchetta, mangia piattoni di pappa che neanche io saprei dove allocare nel mio stomaco, più la frutta, più i tre biberon a notte di latte e chi più ne ha più ne metta). Al che mi dicevo, sì anche io farò così, fino all’anno gli darò la tetta come coccola. Non avevo messo in conto il fatto che potesse non volerla più. E preferire i capelli.
In generale lui ama molto giocare con corde, laccetti, elastici. Gli piace tutto ciò che può tirare e passare tra le dita. In verità stavo contemplando l’idea di comprare un parrucchino. Lo chiamerei “il parrucchino della buonanotte”. Così magari glielo potrei mettere nel lettino e tornare a farlo auto-addormentare. Anche se, conoscendomi, poi mi lamenterei del fatto che lo preferisce ai miei capelli.
Vorrà dire che rimarrò calva.
Pazienza, ricresceranno.