A inizio settimana siamo stati dalla pediatra: il pargolo cresce, paffuto e coccoloso. Pesa 7 Kg ed è lungo 63 cm. La sua circonferenza cranica è di 44 cm e, se i due precedenti valori antropometrici si attestano tra il 75esimo ed il 90esimo percentile, quest’ultima supera il 97esimo: degno fratello dei precedenti miei due.
Ho cercato di spiegare alla pediatra le mie perplessità sull’ipotetica carenza di latte e, non dico che mi ha riso in faccia, ma diciamo che mi ha fatto capire che problemi non sembrano essercene. In verità io so che non ce ne sono fintanto che lo pompo di latte a richiesta come e quando vuole lui, ma temo sempre di non riuscire a soddisfarlo pienamente (di fatto mangia ancora ogni 3-4 ore al massimo e, ogni tanto, ciuccia con una tale ingordigia che sento il fluire del latte via da me e mi domando come possa un seno funzionare come un rubinetto aperto). Stessa cosa quando le ho chiesto come mai ogni tanto passasse giorni interi a rigurgitare. “Eh, con tutto quello che manda giù…!” è stata la sua laconica risposta. Ho cercato strenuamente di sostenere il mio punto di vista anche riferendole che, nel periodo in cui mi era sembrato di essere agli sgoccioli (letteralmente parlando), il bambino aveva avuto ben due giorni di stipsi. A questa osservazione non ha ribattuto in alcun modo.
Fatto sta che me ne sono venuta via piuttosto rasserenata. Se non che, per i successivi tre giorni, il bambino non ha fatto la cacca. Come volevasi dimostrare. Tuttavia, al termine di questo breve lasso di tempo, durante il quale la mamma gioiva unicamente per il significativo risparmio sulla spesa per i pannolini, l’infante ha dimostrato nuovamente di ricordarsi come si facesse (e quanta!) la cacca, sfondando in un sol giorno cinque patelli.
La mia paura di essere insufficiente al fabbisogno alimentare di mio figlio ha raggiunto l’acme quando, ospiti dei soliti nostri generosi amici buongustai, invitati ad assaporare una cena in un ristorante stellato per festeggiare la recente promozione accademica di mio marito, ho proposto di portarmi appresso un litro di latte artificiale. “Perché non si sa mai”. Perché in verità non avrei saputo barcamenarmi con SG urlante, che faceva attacca-stacca dal mio capezzolo e si contorceva irritato mentre sedevo ad un tavolo di lusso con un cameriere che, mentre raccoglieva le briciole dalla tovaglia e riempiva calici di cristallo di pregiato champagne, mi guardava con evidente aria di disapprovazione. Mio marito, stranamente, mi ha sedato in un istante: “Macché latte artificiale! Forza, esci!”.
E così mi sono ritrovata al famoso ristorante Aalto a consumare antipasto di granchio, cocco e cavolfiore e ad assaporare primo piatto a base di riso aspro, fiori di sakura e gelato di alga kombu e ostrica mentre Santiago, in un silenzio surreale, dormiva nella carrozzina. Svegliatosi prima del dolce (sfoglia al cioccolato e gelato al latte affumicato), si è fatto nutrire senza alcun intoppo, eccezion fatta per la pausa cacca tra una tetta e l’altra, che ci ha costretti a ripetere il siparietto del cambio del neonato sul divanetto stellato. Tornata a casa temevo solo ripercussioni notturne legate all’ottimo vino bevuto ed alla insolita combinazione di sapori mai provati prima di allora. Ma nulla di tutto ciò: la notte si è dipanata regolarmente irregolare, come da manuale.
Una seconda uscita a cena, questa volta in una classica pizzeria con amici, mi ha veduta costretta invece a ninnare il bimbo nella carrozzina per una buona mezz’ora, prima che arrivassero le pizze. Temevo già che non sarebbe stato possibile cenare indisturbati. E invece, anche in questa occasione, Santiago è riuscito ad addormentarsi per tempo.
Che dire: non è più quel che si suole chiamare “un bambolotto”. Di giorno sta più tempo sveglio e la sera è più reattivo. Con Pierluigi (la palestrina) gioca a crepapelle fino ad addormentarsi. Ama la musica, sta imparando a tirare il cordino del carillon sopra la carrozzina. Quando lo tengo tra le braccia, trascorro decine di minuti a conversare silenziosamente con lui. Mi osserva con uno sguardo carico d’amore che non ricordo di aver mai ricevuto in vita mia, né dai miei genitori, né da un uomo. Gli occhi profondi luccicano, si accendono di gioia prima ancora che sulle labbra sbocci quel disarmante sorriso sgengivato. Amo guardarlo mentre si addormenta in braccio, con gli occhi ciondolanti che si aprono e si chiudono a ripetizione fino alla fine.
Come l’altro giorno quando, un istante prima di crollare nel sonno, mi ha guardato attraverso un microscopico spiraglio tra le palpebre e mi ha sorriso. Come l’ultimo atto di un guerriero morente. Ed io, in quell’istante eterno, mi sono sentita benedetta.
quanta emozione provata allo stesso modo. mai nessuno ci guarderà con l’amore che vediamo negli occhi del nostro bambino! un’altra pagina meravigliosa