Questa gravidanza, a dieci anni dall’ultima, mi ha trovato diversa. Ovvio, in dieci anni ne sono cambiate di cose. E non parlo solo della forma fisica, che dal punto di vista atletico era migliore adesso che dieci anni fa, praticando regolarmente sport, cosa che non facevo all’epoca. Dieci anni di vita vissuta. Dieci anni in cui si sono verificati due dolorosissimi aborti spontanei, per i quali ancora adesso non trovo pace. Dieci anni durante i quali ho visto i miei primi due figli crescere e il rapporto con mio marito evolvere e modificarsi. Dieci anni lungo i quali ho cambiato contratto e luogo di lavoro più volte. Dieci anni di avventure, di esperienze, di emozioni, di viaggi, con quella che pareva essere la versione finale della nostra famiglia, suggellata dall’arrivo del nostro cagnolino a maggio del 2020, in piena pandemia Covid. Dieci anni nei quali spesso ho pensato ad un terzo figlio, magari una bambina, da crescere come una principessina, distante per età da quei due bruti che ho generato tempo fa. E proprio quando mi stavo rassegnando al fatto che ormai non ci sarebbe più stata nessuna speranza, l’età che avanza e Fabio poco convinto, ecco che un bel giorno di febbraio mi accorgo di avere un ritardo.
Se dovessi descrivere la mia gravidanza, lo farei dividendola in tre fasi. La prima, nella quale scoppi di gioia, ma sei annichilita dalla paura che possa capitare qualcosa di brutto, ancora una volta. E non riesci a goderti appieno il momento, né osi condividerlo con qualcuno perché sai che il dolore sarebbe troppo, se andasse male anche questa volta. La seconda, quando ormai l’hai detto a tutti, vedi il corpo modificarsi ma stai bene, ti senti bella, non vedi l’ora che passino i mesi, approfitti della situazione favorevole, vendi casa, compri casa con una stanza in più, traslochi e pensi che sia fatta, che il peggio, le questioni pratiche siano state risolte e che d’ora in poi sarà tutto in discesa. Ma poi c’è l’ultima fase, che per me, questa volta, è stata piuttosto pesante. Superato lo shock temporaneo di sapere di aspettare un altro maschio (perché, diciamolo, è vero che “l’importante è che sia sano” però sarebbe da ipocriti dire che maschio o femmina sarebbe stato uguale), il terzo trimestre ha cominciato a farmi dannare con dolori ovunque: reflusso esofageo urente, a volte irradiato al giugulo, a volte presente come dolore dietro allo sterno, come uno spasmo; ischialgia, dolore al bacino ogni qual volta appoggiavo la gamba sinistra e ogni qual volta la sollevavo (praticamente ad ogni passo); sindrome del tunnel carpale bilaterale, con anestesia e formicolii alle prime tre dita delle mani, scosse elettriche, dolori notturni, mancanza di forza e di sensibilità per cui ho provato di tutto (fisioterapia, agopuntura, bagni nel sale, vitamine, curcuma, impacchi con l’argilla) senza risultato. Ma soprattutto, il parto post termine.
Con Pietro le contrazioni sono partite la mattina della presunta DPP, subito dopo la perdita del tappo mucoso, e il bambino è venuto alla luce il giorno dopo, dopo trenta ore di agonia per le quali rimando al capitolo di riferimento.
Con Leonardo addirittura il parto è avvenuto qualche giorno prima, anche in quel caso con contrazioni iniziate subito dopo una perdita rosata.
Ma Santiago no. Lui, proprio come ha dovuto farsi attendere per essere concepito, ha deciso di rimanere rintanato nel grembo materno oltre le settimane previste.
E allora la mamma ha cominciato a spulciare siti web che propinano consigli per indurre naturalmente il parto. Bevi succo di mirtilli, succo d’ananas, mangia piccante, fai sesso, sali le scale, pulisci casa. Niente. Il niente assoluto. Il 27 ottobre perdo il tappo, muco e sangue. Incredibile, mi dico, proprio come accadde con Leonardo, nascerà il 28 ottobre, come lui ma dieci anni dopo, che bello. Niente: perdo sangue per una settimana intera ma non accade niente. Il niente assoluto. E partono le scommesse: nascerà la notte di Ognissanti, nascerà il giorno dei morti, no, dai il 2 novembre no, nascerà il 4 novembre, che è un bel numero, nascerà il 10 novembre che fa gli anni il nostro amico tizio, no dai il 10 novembre no, troppo avanti, ma scherziamo?
Il 4 novembre, a mali estremi estremi rimedi: prendo coraggio e compro l’olio di ricino. Dicono che sia un toccasana. Non bevo tutta la dose consigliata, solo metà. E aspetto. Nel pomeriggio partono delle contrazioni, ritmiche, lievi, 50 secondi circa, ogni 4 minuti. Perfetto, chiamo mio marito, ci siamo. Entro in vasca la sera, sperando di attivare il travaglio: si ferma tutto. Però, mi dico, stava partendo, quindi ci siamo, sarà questione di ore! Niente. Il niente assoluto. Al controllo ostetrico il bambino, a 40 settimane e 3 giorni di gestazione, ha un peso stimato di 3830 g, praticamente il peso di Leonardo alla nascita. Comincio a preoccuparmi seriamente: finiremo a dover fare un cesareo perché peserà troppo, arriverà a 5 Kg, ma perché non esce?
Il 7 novembre, nonostante collo dell’utero ancora lungo, riescono a farmi lo scollamento. Doloroso, devo dire, ma sopportabile. La sera avverto gran male in zona pelvica, fitte come forti dolori mestruali, perdo sangue e muco, ma nessuna contrazione.
Su consiglio della ginecologa, il 9 novembre prendo l’altra metà del flacone di olio di ricino. Come da copione, nel pomeriggio compaiono contrazioni ritmiche, questa volta anche piuttosto consistenti: ne approfitto per lavare casa, aspiro, passo lo straccio, metto tutto in ordine, controllo per l’ennesima volta il borsone per l’ospedale. Verso mezzanotte si ferma tutto. Niente. Il niente assoluto.
Oggi, al controllo, stabiliamo che sia ora di indurre il parto. Il ricovero è previsto per domani, l’11 novembre, nel pomeriggio.
meravigliosa questa pagina di diario.
quante emozioni.